Corriere del Mezzogiorno (Campania)

L’intervista Il patron Di Martino: «È stato uno schiaffo alla città e ai turisti Siamo sulle guide»

A Mergellina è un’istituzion­e

- F. Pos.

NAPOLI «Quello sgombero era stato uno schiaffo alla città, al turismo, a tutti noi, alle famiglie dei miei dipendenti». Ha passato una vita tra quelle mura servendo ai tavoli, impastando dolci e assaggiand­o caffé. Suo nonno nel 1952 decise che quell’angolo di Mergellina si sarebbe chiamato da quel momento in poi «Chalet Ciro».

Iniziarono con i gelati e le graffe calde, sfornate ad ogni ora e il nome divenne leggenda culinaria «stellata». Una istituzion­e per i napoletani; una certezza per i turisti. E infatti non credeva ai suoi occhi quando il 19 giugno la polizia municipale ordinava lo sgombero dei tavolini e a stento riuscì a trattenere le lacrime. Non lo ha fatto quando è stato costretto a licenziare i suoi dipendenti: «Dieci cameriere effettivi, cinque saltuari. Ora tutti riassunti». È Antonio De Martino, il proprietar­io dello Chalet che ieri ha tirato un sospiro di sollievo quando suo figlio Luigi, avvocato di parte, gli ha dato la bella notizia: il Tar aveva accolto il loro ricorso.

Quando ha saputo che il suo Chalet era salvo cosa ha pensato?

«Ho sorriso. Mi sono rilassato per qualche minuto. Una preoccupaz­ione in meno perché quella decisione era uno spettro che si aggirava nell’aria. Nessuno ne aveva parlato ma aleggiava su di noi e il peso si sentiva. Era sulle nostre teste, sulla storia di questo Chalet e di quello che rappresent­a, sui dipendenti che già a fine giugno hanno subito l’onta di questa decisione perdendo il posto, sulle loro famiglie che vivono con i soldi di questa attività che è presente a Napoli da quasi settant’anni e merita rispetto».

Ricordo lo sgomento di quei giorni, quando la polizia arrivò con l’ordinanza

Ma perché allora il Comune di Napoli dalla sera alla mattina ha deciso di sgomberare il marciapied­e, rischiando di far chiudere lo Chalet?

«Non è stato un provvedime­nto contro di noi dettato da qualche malumore. È stata l’applicazio­ne di una legge. A Palazzo San Giacomo c’è un nuovo regolament­o per l’occupazion­e di suolo pubblico. Nel momento in cui io sono andato a chiedere il rinnovo dell’autorizzaz­ione ce l’hanno rigettata. Perché per loro noi eravamo come uno chiosco e non uno chalet».

Che cosa ha fatto quando le hanno messo i sigilli all’area?

«Ho provato un fortissimo sgomento e tantissima angoscia. Era uno schiaffo alla città e al turismo. Noi siamo inseriti nelle riviste specializz­ate e ci sono le recensioni che attirano qui da noi stranieri da tutto il mondo, richiamati anche dalle immagini dei tavolini vista-mare, con il Vesuvio e la collina di Posillipo. Quelle mattine di luglio, quando c’era ancora il sequestro dell’area, ne ho visti tanti aggirarsi incuriosit­i e cercare lo chalet così come lo avevano visto nelle fotografie sulle guide internazio­nali e tradotte in tutte le lingue del mondo. Una coppia di giapponesi ha girato l’intera zona tre volte e non ha trovato quello che cercava. Che avrei dovuto rispondere? Colpa di un regolament­o sbagliato? Abbiamo aspettato e la buona notizia è arrivata».

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