Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Martone, flusso interattivo che lega passato e futuro
Al Museo Madre l’avvolgente opera del regista che dura 9 ore e mezza con spezzoni di film, interviste e spettacoli teatrali raccolti in quarant’anni
Nam June Paik, padre della video arte e del gruppo Fluxus, nel 1963 espose a Wuppertal «13 TV: 13 distorted TV sets». Immagini deformate da magneti e installazioni interattive col pubblico, secondo la lezione di John Cage. Non contava il contenuto di quelle visioni ma il linguaggio che ne scaturiva grazie all’uso in contemporanea di 13 monitor. Screen wall e zapping sarebbero arrivati dopo, ma in quella idea c’era già l’evoluzione del rapporto fra osservatore e materia osservata.
È ciò che accade in «19772018. Mario Martone Museo Madre», il film dei film (per parafrasare Basile), fruibile tutti i giorni nel museo di via Settembrini fino al 3 settembre. E che pone subito un rovello: guardare le 9 ore e mezza con cui il regista ha montato spezzoni di film, teatro, opere e interviste, raccolti in 40 anni? O lasciarsi andare al flusso più volte evocato dallo stesso Martone e dar vita a una propria idea di opera, «random», unica e irripetibile?
La prima opzione richiede grande applicazione: partire da un punto A e, verosimilmente in più giorni, giungere a quello stesso punto dopo un’ellisse stilistica, temporale e linguistica, che segue le scelte del montaggio martoniano. L’altra, a dir il vero più appassionante (e praticabile) smarrisce il senso della ricerca esegetica, ma spinge l’operazione nel campo visionario dell’opera aperta di arte contemporanea, trasversale e concettuale, in grado di dar vita alle stratificazioni di senso tipiche dei linguaggi più criptici. Anche perché sedersi in una della 36 poltroncine girevoli al centro dell’istallazione a quattro schermi, che ricorda «Ritorno ad Alphaville», regala una sensazione di potere, complice una cuffia nera e un tasto generatore di «switches»: quello di uno schermo con rispettivo audio, con un altro audio, o senza audio. Combinazioni praticabili nel giro di un click, paragonabili ai «blob» di Ghezzi e Giusti. Dalla meccanicità adolescenziale della Nuova Spettacolarità («Controllo totale», «Tango Glaciale», originale e «reloaded», «Otello», «Coltelli nel cuore», «Il desiderio preso per la coda», fino all’inedito «Nessundove - Studi su immagini di Napoli») in cui il gesto rock sovrasta la parola in uno spazio di kromaki e fondali-fumetto, all’epica di saghe tragiche come quella di Edipo (da «Oedipus Rex» di Cocteau con musiche di Stravinskij al «Teatro di guerra» nato da «I sette contro Tebe»).
Nessi che si svelano girando la testa e vedendo il Renato Carpentieri di «Falstaff» a confronto con quello serioso di «Morte di un matematico napoletano» e «Noi credevamo», e ancora «La ginestra» leopardiana che lega la salita del Toni Servillo sindaco dei «Vesuviani» con le scene de «Il giovane favoloso». E volti su volti, quelli «storici» di Andrea Renzi, Licia Maglietta, Anna Bonaiuto, fino ai più recenti di Francesco Di Leva e Lorenzo Gleijeses. Pennellate componibili di un quadro-caleidoscopio, con cui Martone guarda al passato ma scommette sul futuro.