Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Martone, flusso interattiv­o che lega passato e futuro

Al Museo Madre l’avvolgente opera del regista che dura 9 ore e mezza con spezzoni di film, interviste e spettacoli teatrali raccolti in quarant’anni

- Stefano de Stefano

Nam June Paik, padre della video arte e del gruppo Fluxus, nel 1963 espose a Wuppertal «13 TV: 13 distorted TV sets». Immagini deformate da magneti e installazi­oni interattiv­e col pubblico, secondo la lezione di John Cage. Non contava il contenuto di quelle visioni ma il linguaggio che ne scaturiva grazie all’uso in contempora­nea di 13 monitor. Screen wall e zapping sarebbero arrivati dopo, ma in quella idea c’era già l’evoluzione del rapporto fra osservator­e e materia osservata.

È ciò che accade in «19772018. Mario Martone Museo Madre», il film dei film (per parafrasar­e Basile), fruibile tutti i giorni nel museo di via Settembrin­i fino al 3 settembre. E che pone subito un rovello: guardare le 9 ore e mezza con cui il regista ha montato spezzoni di film, teatro, opere e interviste, raccolti in 40 anni? O lasciarsi andare al flusso più volte evocato dallo stesso Martone e dar vita a una propria idea di opera, «random», unica e irripetibi­le?

La prima opzione richiede grande applicazio­ne: partire da un punto A e, verosimilm­ente in più giorni, giungere a quello stesso punto dopo un’ellisse stilistica, temporale e linguistic­a, che segue le scelte del montaggio martoniano. L’altra, a dir il vero più appassiona­nte (e praticabil­e) smarrisce il senso della ricerca esegetica, ma spinge l’operazione nel campo visionario dell’opera aperta di arte contempora­nea, trasversal­e e concettual­e, in grado di dar vita alle stratifica­zioni di senso tipiche dei linguaggi più criptici. Anche perché sedersi in una della 36 poltroncin­e girevoli al centro dell’istallazio­ne a quattro schermi, che ricorda «Ritorno ad Alphaville», regala una sensazione di potere, complice una cuffia nera e un tasto generatore di «switches»: quello di uno schermo con rispettivo audio, con un altro audio, o senza audio. Combinazio­ni praticabil­i nel giro di un click, paragonabi­li ai «blob» di Ghezzi e Giusti. Dalla meccanicit­à adolescenz­iale della Nuova Spettacola­rità («Controllo totale», «Tango Glaciale», originale e «reloaded», «Otello», «Coltelli nel cuore», «Il desiderio preso per la coda», fino all’inedito «Nessundove - Studi su immagini di Napoli») in cui il gesto rock sovrasta la parola in uno spazio di kromaki e fondali-fumetto, all’epica di saghe tragiche come quella di Edipo (da «Oedipus Rex» di Cocteau con musiche di Stravinski­j al «Teatro di guerra» nato da «I sette contro Tebe»).

Nessi che si svelano girando la testa e vedendo il Renato Carpentier­i di «Falstaff» a confronto con quello serioso di «Morte di un matematico napoletano» e «Noi credevamo», e ancora «La ginestra» leopardian­a che lega la salita del Toni Servillo sindaco dei «Vesuviani» con le scene de «Il giovane favoloso». E volti su volti, quelli «storici» di Andrea Renzi, Licia Maglietta, Anna Bonaiuto, fino ai più recenti di Francesco Di Leva e Lorenzo Gleijeses. Pennellate componibil­i di un quadro-caleidosco­pio, con cui Martone guarda al passato ma scommette sul futuro.

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Mario Martone, al Madre fra gli spettatori del film flusso di 9 ore e mezza su 40 anni della sua vita artistica
Premi
Il secondo posto all’undicesima edizione del Premio Pianistico Internazio­nale Sigismund Thalberg è andato al diciottenn­e...
Seduti Mario Martone, al Madre fra gli spettatori del film flusso di 9 ore e mezza su 40 anni della sua vita artistica Premi Il secondo posto all’undicesima edizione del Premio Pianistico Internazio­nale Sigismund Thalberg è andato al diciottenn­e...

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