Corriere del Mezzogiorno (Campania)
LA FUGA DEI GRANDI PLAYER
La fuga dei grandi player del commercio al dettaglio, soprattutto internazionali, sembra oggi essere il comune denominatore del sistema distributivo campano. Come peraltro ben evidenziato nell’inchiesta pubblicata di recente sulle colonne di questo giornale, gli attuali segnali — sempre meno deboli — provenienti dall’arena della grande distribuzione rivelano l’allontanamento dei major dalle grandi superfici commerciali, evento che, con la sua potente carica ferale, sta opprimendo pesantemente l’economia campana, lasciando sul campo troppe vittime innocenti tra i lavoratori (e relative famiglie). Istituzioni, associazioni di categoria ed esperti, infatti, richiamano l’attenzione su un possibile effetto «polveriera» legato alle notevoli tensioni sociali generate dal sensibile calo occupazionale, dal momento che si contano circa 8 mila posti di lavoro distrutti nell’ultimo biennio, e non solo. Eppure è fuor di dubbio la centralità del commercio nell’economia regionale, con un’incidenza sulla produzione totale del 42,7% (Unioncamere, 2018), ad opera prevalentemente di strutture distributive di dimensioni medio-piccole (con solo 813 grandi superfici, di cui solo 29 maxi), ed un grande peso sia in termini di guadagno per l’imprenditore (Roe: 8,2%) che di personale complessivamente impiegato, con circa 167mila addetti.
Allora come giustificare l’atteggiamento di desistenza dei grandi distributori? Indubbiamente l’origine di tutti i mali resta la compressione dei consumi quale reazione alla crisi economica, che ha mandato in tilt anche le strutture commerciali organizzate su grandi superfici di vendita, contraendone margini e competitività. In aggiunta, alcune tendenze recenti non hanno mancato di esercitare il loro ruolo riformatore, modificando fortemente le abitudini di acquisto, tra cui: il ritorno al carrello più frequente e frammentato per ridurre
gli sprechi (specialmente nel comparto food); la ricomparsa della spesa in città o nel quartiere, con l’aumento del commercio di vicinato; la nascita dei primi esperimenti multicanale; ma anche estensioni di marchio incentrate sulla qualità ovvero, più in generale, proposte innovative in termini di servizi e ambienti differenziati.
Quindi? Ad oggi le formule vincenti si sono rivelate quelle più agili nell’interpretare i mutamenti dei mercati di sbocco, reinterpretando e nutrendo le rinnovate proposizioni di offerta in piena adesione alla
«ruota del dettaglio», ad uso di un consumatore camaleontico che tende ad annoiarsi di fronte ad offerte costanti ed invarianti nel tempo. E se ciò potesse costituire la vera riscossa del commercio di prossimità, con offerte integrate tra dimensione fisica e virtuale, dallo show-rooming al web-rooming?
Un futuro auspicabile, certo, cui però al momento risuona purtroppo solo l’amarezza di una drammatica situazione occupazionale in attesa di risposte concrete e tempestive.