Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Frankie hi-nrg mc al San Carlo: «Io, rapper fra echi di Bach»
Al San Carlo stasera e domani «#Antropocene» di e con Marco Paolini
Il San Carlo apre le sue porte al rap ospitando stasera (in replica domani alle 18) Frankie hi-nrg- mc (al secolo Francesco Di Gesù), fra i protagonisti dello spettacolo «#Antropocene - L’odissea tragicomica di due naufraghi dell’era contemporanea» diretto da Marco Paolini, autore anche del testo e voce recitante, con le musiche di Mauro Montalbetti. Sul palco con loro Mario Brunello, violoncellista di fama internazionale che ha suonato con Abbado, Gergiev, Giulini e Muti e l’Orchestra del Massimo partenopeo. Frankie hi-nrg- mc, protagonista fin dai primi anni Novanta del movimento hiphop italiano, è entusiasta: «Sono onorato di far parte di questo spettacolo e di esibirmi al San Carlo, tra i teatri in attività, il più prestigioso e antico al mondo, poi con mostri sacri come Paolini e Brunello, essere una componente di questa rappresentazione molto divertente è molto emozionante». Attraverso le sue rime e il suo flow, Frankie hi-nrg- mc interpreta un’operatore di call-center robotico che annuncerà la fine dell’era di internet allo sventurato cliente. Da qui un collasso tecnologico con due uomini senza punti di riferimento: un’oratorio musicale dedicato al rapporto tra uomo e macchina. «”#Antropocene” è un crossover che mescola più linguaggi contemporanei, con le musiche di Montalbetti che uniscono echi bachiani tratti dalla Passione secondo Giovanni di Johann Sebastian Bach, un certo linguaggio minimalista e il rap». Il San Carlo alza così il suo sipario sul crossover e rap. Sono ormai lontani i tempi in cui negò la sua scena a Bruce Springsteen e al suo «The Ghost of Tom Joad Tour» il 22 maggio 1997 (che si spostò al Teatro Augusteo) chiedendo al management del Boss del New Jersey 40 milioni delle allora vecchie lire come cifra non per il fitto sala ma come rimborso spese per i tecnici, per lo spostamento delle prove degli spettacoli in corso etc. Torinese di nascita ma cresciuto a Caserta il rapper si sofferma sul suo rapporto con gli artisti napoletani: «La Campania da molti anni è culla di grandi rapper che utilizzano la lingua napoletana per le proprie metriche: Polo de La Famiglia, Speaker Cenzou, Paura, Clementino, Rocco Hunt… Sono mosche bianche all’interno del panorama rap italiano da classifica che parla solo di soldi, di donne trattate come oggetti e qualunquismo. Il rap cosiddetto contemporaneo che troviamo in classifica è lontano dalla cultura dell’hip-hop che racchiude in se valori, che rispetta le minoranze perché viene dalle minoranze. Dal canto mio, io ho sempre cercato di mettere nella testa del mio pubblico punti interrogativi e non esclamativi, senza dar certezze. E la scena partenopea è ancora fortunatamente ancorata ai valori del vecchio hiphop».