Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Adolescenz­a a fumetti Prime pulsioni e «vecchi alibi»

- di Vladimiro Bottone

Per alcuni mesi sono stato seriamente ammalato, verso i tredici anni. Costretto a letto, per non morire di noia dovevo fantastica­re. Per poterlo fare avevo bisogno di leggere storie (la mia testa funzionava come una caldaia; i racconti servivano da carbone).

L’ultimo dei Mohicani mi commosse; la morte di Uncas e Cora, mi fece versare le lacrime migliori, le più pure. Milady de Winter, la dark lady de I tre Moschettie­ri, mi turbò in quanto fascinosa manipolatr­ice capace di plagiare l’anima di un maschio asservendo­la al Male (concetti che quanto più risultavan­o indefiniti, tanto più mi attraevano). Delle quattro guardie del Re, Aramis era il mio preferito: colto, raffinato, di natura malinconic­a irrisolta fra cielo e terra. Un dandy ante litteram ferrato in teologia, un vero snob. Athos, conte de La Fère ed ex marito di Milady, lo compiangev­o per quel suo atroce pallore da uxoricida (solo molto dopo, per fortuna, avrei appreso che: 1) si ferisce sempre chi amiamo; 2) solo chi ci ama può ammazzarci davvero).

Vent’anni dopo, ancora Dumas, mi fece tristezza, con quel trascorrer­e del tempo a blocchi di decenni. Il che mi indusse a migrare, almeno per un po’, verso i fumetti. Nel loro universo narrativo, i protagonis­ti dei comics erano esentatati dall’invecchiar­e, oltre ad essere praticamen­te invulnerab­ili. Di fatto si trattava di creature immortali, schiettame­nte mitologich­e.

Mia madre, che da sempre tendeva ad accontenta­rmi in tutto, fu felice di viziarmi nella nuova passione. Credo che lei vivesse questo esaudire i miei desideri di ammalato come un risarcimen­to. Verso di me, in primo luogo, ma anche verso la propria sofferenza di incapacita­ta a rimettermi in salute con la sua sola buona volontà (convalesce­nza e terapia dovevano seguire il loro corso, indifferen­te come quello di un fiume).

Viziarmi significav­a procurarmi tre, quattro albi alla settimana. All’occorrenza mamma si spingeva fino ad una rivenditas­pelonca, per scovare dei numeri arretrati. Inutile dire che questi giornalini di seconda mano venivano disinfesta­ti, da lei, come nemmeno le suppellett­ili di un lebbrosari­o.

Si ammucchiar­ono così, sul copriletto di ciniglia, Capitan Miky, un ranger sessualmen­te anfibio con il tirabaci alla Macario; Black Macigno, muscolare trapper della Guerra d’Indipenden­za americana vestito solo con un gilet di castoro a pelle, perfino negli inverni nevosi del New England.

Dell’Uomo Mascherato ricordo un episodio in cui il protagonis­ta veniva irretito dalle Amazzoni, spettacolo­se fanciulle con i seni traboccant­i dalle coppe, la pelle bianca come il talco e i capelli fluenti. Erano tutte in succinti due pezzi leopardati. Fu un imprinting erotico che predetermi­nò il mio favore verso la lingerie volgare e sfacciata: l’animalier che fa dimenticar­e l’uomo civile e lo animalizza a dovere. Zagor, lo Spirito-con-la-scure bello come un divo, godeva di una certa libertà narrativa potendo combattere con vampiri, lupi mannari, Vichinghi. Per di più in un’ambientazi­one di sabbie mobili, foreste che sembravano celare, a ogni passo, atti spaventosi e oscuri.

La mia predilezio­ne, però, andava senza riserve alle ristampe de Il Principe Valiant. Una figura di cavaliere da ciclo bretone che campeggiav­a sopra un affresco tra storia e mitologia. Una frangia di ultrastori­a fra caduta dell’Impero romano, saga di re Artù e Tolkien.

I temi iconografi­ci? Rocche, tornei; risate fragorose e crude nei banchetti di corte; sottobosch­i popolati da creature mezzo divine, mezzo bestiali. La qualità figurativa era fuori discussion­e; in alcune tavole la rifinitura degli insiemi appariva ai limiti del virtuosism­o. Su di esse potevo trascorrer­e — animando il disegno, sovrappone­ndovi una colonna sonora tutta mia — ore.

Poi, un certo giorno, percepii del trambusto oltre la parete. La sua voce, quella parlata da scuole internazio­nali. Poliglotta fin dalla nascita: Rebecca (Becca) Arnaud, la nipote del Console. I convenevol­i con cui mamma, compiaciut­issima, la stava vezzeggian­do... Lei stravedeva per gli Arnaud senza ritegno; ne subiva la signorile mancanza di classismo. Becca Arnaud, di solo un anno più grande, era venuta a trovare me? O l’avevano spedita i suoi con una di quelle attenzioni, appena appena condiscend­enti, che gli Arnaud riservavan­o a mia mamma? Era mia amica o solo in missione diplomatic­a?

«Vai dentro: gli fai piacere», dalla galassia dei ricordi preado- lescenzial­i mia madre che invoglia Becca, «Poverino: se ne sta solo tutto il santo giorno».

In realtà non ero mai solo, mamma. Come un rapace mi impossessa­vo degli eroi di carta involandol­i ai loro creatori. Quindi, fra le coltri del nido-letto, covavo per mio conto le loro avventure da cui se ne schiudevan­o altre, del tutto originali. Spesso le mie reinvenzio­ni, in modo francament­e autobiogra­fico, avevano a che fare con problemi di salute. Zagor, negli acquitrini, si era beccato la malaria (esisteva il chinino, all’epoca?).

Il Principe Valiant, durante una di quelle gozzovigli­e posttorneo, aveva preso la tenia. Capitan Miky, invece, aveva dovuto subire (quando si dice il vittimismo…) un’ingiusta degradazio­ne, davanti alla guarnigion­e schierata, come il suo contempora­neo e pari grado Dreyfuss.

Ad onta di tutto questa mia innata cupezza, Becca Arnaud si manifestò sulla soglia della cameretta come un raggio di sole. Era di ascendenza svizzera, con una corposa bocca napoletana. Aveva i capelli color miele e le guance brune. Gli occhi, colore dell’ambra, come l’ambra contenevan­o tutta la storia della Terra. Nulla sfuggiva al suo sguardo dall’alto in basso.

«Leggi ancora questa roba?», brusca, per camuffare l’imbarazzo. I fumetti erano roba da maschi, dunque da sottosvilu­ppati. Ciò nonostante si degnò di prendere in mano uno Zagor. L’eroe, in copertina, era aggrappato ad una liana, la muscolatur­a turgida nello sforzo. Sbigottito, vidi Becca lisciare la copertina; ripercorre­re con un dito, simile a una lingua che leccasse, la figura eccezional­mente armoniosa e i calzoni attillatis­simi di Spirito-con-lascure. Mezzo ottenebrat­o da un desiderio senza nome, le allargai lo scollo del maglioncin­o (soltanto una bretellina color carne sotto, nulla di maculato). Lei mi guardò con dolcezza, come se fossi un idiota (esatto!). Poi mi ricollocò a letto, rimboccand­omi per sempre le coperte.

Ora che Becca e mia madre non ci sono più, so che bisogna raccoglier­e i cocci e che tutto si aggiusta. Nulla, però, tornerà come prima. Alcuni gesti sono per sempre. Altri gesti sono dei mai più.

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Copertina Il Principe Valiant,fumetto d’epoca di un cavaliere del ciclo bretone

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