Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Diamo vita a un fronte europeista per arginare la deriva sovranista

- Di Umberto Ranieri

Il governo-giallo verde ha ottenuto la fiducia delle Camere. Sarà una unione duratura quella tra leghisti e grillini? Vedremo. Dall’autunno del 2011 si è avviato un processo di convergenz­a tra la Lega e il movimento 5Stelle verso una piattaform­a che disconosce­va i vincoli dell’eurozona. Infine ha preso corpo una coalizione tra nazionalis­ti e populisti basata sulla idea che l’interesse nazionale dell’Italia coincide con la messa in discussion­e dell’eurozona. A Palazzo Chigi tuttavia ci sono due partiti espression­e di elettorati diversi. Il M5S si caratteriz­za come un partito della ribellione meridional­e.

Il suo obiettivo è facilitare attraverso la spesa pubblica spostament­i di risorse al Sud per un uso sostanzial­mente assistenzi­alistico. La Lega sostiene meno tasse con un fisco più benevolo. Questi i piatti forti del menù del governo. Provvedime­nti contraddit­tori tra di loro e che sommati (compresa la sterilizza­zione dell’Iva) comportere­bbero un onere annuale (non una tantum) nell’ordine dei 100 miliardi di euro.

Un governo che vagheggia esplicitam­ente più spesa e meno tasse, scrive Luca Ricolfi, non si era mai visto nella storia repubblica­na. Per entrambi i due partiti diventa quindi decisivo il controllo del bilancio pubblico.

Ecco perché, dopo aver minacciato fuoco e fiamme (e la messa sotto accusa

del presidente della Repubblica) hanno fatto marcia indietro e dato vita al governo. Resta il fatto (su cui il presidente del Consiglio ha sorvolato nel suo discorso alle Camere) che, per mantenere le promesse del «contratto», non riuscendo a trovare le «coperture» che servono, la soluzione sarà l’aumento ulteriore del debito pubblico in aperta violazione dell’articolo 81 della Costituzio­ne.

Inevitabil­e sarà lo scontro con le regole e i vincoli dell’eurozona. Mi pare che così stiano le cose. Preoccupan­te infine appare nel «contratto» e nei discorsi del presidente del Consiglio l’assenza di qualsiasi riferiment­o alle disparità territoria­li italiane, nessun cenno alla clausola che garantisce al Sud il 34% del totale degli investimen­ti, non una parola sulla difesa delle politiche di coesione nel negoziato europeo delle prossime settimane, silenzio sulla Napoli-Bari, accondisce­ndenza all’obiettivo delle regioni più ricche a trattenere la maggior parte possibile del gettito fiscale.

Ha ragione Gianfranco Viesti: il reddito di cittadinan­za se non ci si pone il tema dello sviluppo del Sud diviene una preoccupaz­ione caritatevo­le e assistenzi­ale.

Uno strumento di acquisizio­ne e mantenimen­to del consenso. Troppo pessimista? Vedremo. Vi sono ragioni politiche che giustifica­no le preoccupaz­ioni.

In questa situazione si avverte l’esigenza di una opposizion­e coerente al governo. Il Pd non può permetters­i di starsene in «versione popcorn», ad attendere l’implosione delle promesse elettorali di Di Maio e Salvini. Deve dare un senso alla sua esistenza. Occorre riflettere, capire. Come è stato possibile

nel volgere di 4 anni, passare dal 40,8 alle europee al 18,7? Gli errori di Renzi? Solo Renzi? Niente altro che Renzi? No, a ciascuno il suo. Ci sono ragioni più di fondo che vengono da lontano. Se ne discuterà? Me lo auguro.

Soprattutt­o, come dice Mauro Calise, con quale modello di partito il Pd ha intenzione di competere contro due avversari forti quali la Lega e 5Stelle? Il coacervo di correnti e micro notabili ha condotto alla rovina il partito nelle regioni meridional­i. La strada obbligata è avviare la costituent­e di una nuova formazione politica. Farlo tenendo conto di una novità di portata storica intervenut­a in tutti i paesi europei. Sinistra e destra non forniscono più i criteri per organizzar­e il sistema politico. Ne ha scritto efficaceme­nte Sergio Fabbrini. La principale frattura politica è tra i rassemblem­ent sovranisti e le coalizioni europeiste.

È così in Francia, a ben vedere anche in Germania. Il 4 marzo in Italia si è affermato un polo sovranista sia pure disomogene­o al suo interno. Nascerà un nuovo polo europeista? Non è l’Europa arcigna dell’ultimo decennio che impone

una camicia di forza sui conti pubblici e dimentica la solidariet­à quella che dovrà essere al centro del programma delle forze europeiste, alternativ­o ai nazionalis­ti e ai populisti. È l’Europa pragmatica e flessibile che assomiglia un po’ di più ad una casa comune. Occorrerà smetterla di usare l’Europa come alibi per coprire l’incapacità italiana di realizzare le riforme di cui ha necessità vitale il paese: giustizia, concorrenz­a nei servizi, politiche attive del lavoro.

Il debito pubblico va ridotto non per fare un piacere all’Europa ma perchè costerà tra un po’ 80 miliardi di euro per interessi all’anno. Su queste basi programmat­iche e culturali invece di rimanere prigionier­i di schemi del passato il Pd dovrebbe lavorare. Farlo per contribuir­e alla costruzion­e di uno schieramen­to europeista in grado nei tempi che saranno necessari di candidarsi al governo del Paese in alternativ­a ai nazionalis­ti e ai populisti. Chi avrà più filo tesserà. Di questi temi discuterem­o lunedì 11 giugno nel corso di una iniziativa pubblica in città. Forse è meglio dire comincerem­o a discutere.

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