Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Diamo vita a un fronte europeista per arginare la deriva sovranista
Il governo-giallo verde ha ottenuto la fiducia delle Camere. Sarà una unione duratura quella tra leghisti e grillini? Vedremo. Dall’autunno del 2011 si è avviato un processo di convergenza tra la Lega e il movimento 5Stelle verso una piattaforma che disconosceva i vincoli dell’eurozona. Infine ha preso corpo una coalizione tra nazionalisti e populisti basata sulla idea che l’interesse nazionale dell’Italia coincide con la messa in discussione dell’eurozona. A Palazzo Chigi tuttavia ci sono due partiti espressione di elettorati diversi. Il M5S si caratterizza come un partito della ribellione meridionale.
Il suo obiettivo è facilitare attraverso la spesa pubblica spostamenti di risorse al Sud per un uso sostanzialmente assistenzialistico. La Lega sostiene meno tasse con un fisco più benevolo. Questi i piatti forti del menù del governo. Provvedimenti contraddittori tra di loro e che sommati (compresa la sterilizzazione dell’Iva) comporterebbero un onere annuale (non una tantum) nell’ordine dei 100 miliardi di euro.
Un governo che vagheggia esplicitamente più spesa e meno tasse, scrive Luca Ricolfi, non si era mai visto nella storia repubblicana. Per entrambi i due partiti diventa quindi decisivo il controllo del bilancio pubblico.
Ecco perché, dopo aver minacciato fuoco e fiamme (e la messa sotto accusa
del presidente della Repubblica) hanno fatto marcia indietro e dato vita al governo. Resta il fatto (su cui il presidente del Consiglio ha sorvolato nel suo discorso alle Camere) che, per mantenere le promesse del «contratto», non riuscendo a trovare le «coperture» che servono, la soluzione sarà l’aumento ulteriore del debito pubblico in aperta violazione dell’articolo 81 della Costituzione.
Inevitabile sarà lo scontro con le regole e i vincoli dell’eurozona. Mi pare che così stiano le cose. Preoccupante infine appare nel «contratto» e nei discorsi del presidente del Consiglio l’assenza di qualsiasi riferimento alle disparità territoriali italiane, nessun cenno alla clausola che garantisce al Sud il 34% del totale degli investimenti, non una parola sulla difesa delle politiche di coesione nel negoziato europeo delle prossime settimane, silenzio sulla Napoli-Bari, accondiscendenza all’obiettivo delle regioni più ricche a trattenere la maggior parte possibile del gettito fiscale.
Ha ragione Gianfranco Viesti: il reddito di cittadinanza se non ci si pone il tema dello sviluppo del Sud diviene una preoccupazione caritatevole e assistenziale.
Uno strumento di acquisizione e mantenimento del consenso. Troppo pessimista? Vedremo. Vi sono ragioni politiche che giustificano le preoccupazioni.
In questa situazione si avverte l’esigenza di una opposizione coerente al governo. Il Pd non può permettersi di starsene in «versione popcorn», ad attendere l’implosione delle promesse elettorali di Di Maio e Salvini. Deve dare un senso alla sua esistenza. Occorre riflettere, capire. Come è stato possibile
nel volgere di 4 anni, passare dal 40,8 alle europee al 18,7? Gli errori di Renzi? Solo Renzi? Niente altro che Renzi? No, a ciascuno il suo. Ci sono ragioni più di fondo che vengono da lontano. Se ne discuterà? Me lo auguro.
Soprattutto, come dice Mauro Calise, con quale modello di partito il Pd ha intenzione di competere contro due avversari forti quali la Lega e 5Stelle? Il coacervo di correnti e micro notabili ha condotto alla rovina il partito nelle regioni meridionali. La strada obbligata è avviare la costituente di una nuova formazione politica. Farlo tenendo conto di una novità di portata storica intervenuta in tutti i paesi europei. Sinistra e destra non forniscono più i criteri per organizzare il sistema politico. Ne ha scritto efficacemente Sergio Fabbrini. La principale frattura politica è tra i rassemblement sovranisti e le coalizioni europeiste.
È così in Francia, a ben vedere anche in Germania. Il 4 marzo in Italia si è affermato un polo sovranista sia pure disomogeneo al suo interno. Nascerà un nuovo polo europeista? Non è l’Europa arcigna dell’ultimo decennio che impone
una camicia di forza sui conti pubblici e dimentica la solidarietà quella che dovrà essere al centro del programma delle forze europeiste, alternativo ai nazionalisti e ai populisti. È l’Europa pragmatica e flessibile che assomiglia un po’ di più ad una casa comune. Occorrerà smetterla di usare l’Europa come alibi per coprire l’incapacità italiana di realizzare le riforme di cui ha necessità vitale il paese: giustizia, concorrenza nei servizi, politiche attive del lavoro.
Il debito pubblico va ridotto non per fare un piacere all’Europa ma perchè costerà tra un po’ 80 miliardi di euro per interessi all’anno. Su queste basi programmatiche e culturali invece di rimanere prigionieri di schemi del passato il Pd dovrebbe lavorare. Farlo per contribuire alla costruzione di uno schieramento europeista in grado nei tempi che saranno necessari di candidarsi al governo del Paese in alternativa ai nazionalisti e ai populisti. Chi avrà più filo tesserà. Di questi temi discuteremo lunedì 11 giugno nel corso di una iniziativa pubblica in città. Forse è meglio dire cominceremo a discutere.