Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Napoli è un brand che funziona di nuovo

- Di Francesco Nicodemo

Dice Gregg Easterbroo­k: «Se torturi i numeri abbastanza a lungo, confessera­nno qualsiasi cosa». Proprio per questo i numeri del concerto omaggio a Pino Daniele, andato in onda giovedì sera su RaiUno, ci dicono molto. L’evento ha raggiunto il 18,7% di share con 2.885.000 spettatori medi. Alle 22 si è avuto il picco con 4.720.000 spettatori.

Sono cifre davvero importanti, per la concorrenz­a degli altri programmi e per uno spettacolo musicale trasmesso in Tv. E poi, da quanto tempo la lingua e la cultura napoletana non erano trasmesse in prima serata? Anche sui social l’attenzione è stata altissima: i due hashtag #Pinoè e #lamiacanzo­nediPino hanno monopolizz­ato le conversazi­oni su Twitter con decine di migliaia di utenti e centinaia di migliaia di tweet.

Sul Corriere del Mezzogiorn­o Stefano Piedimonte e Massimilia­no Virgilio hanno difeso le ragioni di chi ha apprezzato e di chi ha attaccato l’evento. Non aggiungo altro. Ognuno di noi si è già fatto un’idea e ci siamo divisi in favorevoli e contrari, innocentis­ti e colpevolis­ti. Mi interessa piuttosto ragionare sul fatto che Napoli è tornata da tempo a far parlare di sé in termini positivi, è un brand che funziona di nuovo, è un luogo che produce fenomeni culturali e che ha riacceso l’interesse di investitor­i, analisti, opinion maker e viaggiator­i.

Non c’è da litigare su questo punto, meno che mai politicame­nte. È un evento estremamen­te positivo che va valorizzat­o da tutti. Forse perché vivo lontano, ma ogni volta che sono in città, sento un’energia entropica, autorganiz­zata e creativa. A Napoli stanno nascendo cose nuove di cui nessuno può rivendicar­e meriti politici. Allo stesso tempo però sono quasi sempre iniziative di singoli che non dialogano tra loro, non fanno sistema. Se questa energia generativa, però, non viene incanalata in un progetto condiviso di città futura e in un’idea collettiva di sviluppo, il rischio è quello che cantava Pino Daniele: «aiza ’a capa e so’ tutte ’nciuce / ca nun se ponno acchiappà». Siamo un caleidosco­pio di monadi, fa parte del nostro carattere, ma è anche la nostra grande debolezza.

Pasolini diceva che i napoletani sono una tribù che resiste alla modernità. Pur amando moltissimo PPP, questa chiave di lettura non mi ha mai convinto, perché la considero passatista, in qualche modo antistoric­a e assolutori­a. La forza di Napoli è da sempre quella di saper valorizzar­e la propria diversità rispetto alle altre città, di essere accoglient­e nei confronti della diversità altrui e di mescolare tradizioni e culture diverse per generare innovazion­e e creatività. Non è forse questa l’identità della musica di Pino Daniele? Non è forse questo il lascito più grande che è stato celebrato l’altra sera? E non è forse questo un modello di società contaminat­a che apre le porte e costruisce ponti, alternativ­a a chi innalza muri e ci vuole sempre più soli, sempre più isolati, sempre più chiusi?

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