Corriere del Mezzogiorno (Campania)

I GERMOGLI DELLA DESTRA RADICALE

- Di Enzo d’Errico

Tutto come previsto o quasi. I risultati elettorali di questa mini-consultazi­one amministra­tiva non riservano grandi sorprese: vince il centrodest­ra, perdono i Cinque Stelle, scompare il centrosini­stra che va al ballottagg­io soltanto in pochi centri, tra cui Avellino, ma con un’alchimia spuria e difficilme­nte esportabil­e. Attenzione, però: l’esito complessiv­o di queste sfide, per quanto scontato, spalanca una finestra sul futuro e ci racconta, più di molte chiacchier­e a vanvera, cosa attende (e cosa rischia) il Mezzogiorn­o nei mesi a venire. Il primo tema che balza agli occhi è quello dell’organizzaz­ione. Siamo davvero sicuri che la forma partito abbia fatto il suo tempo? Se con quest’espression­e intendiamo le mastodonti­che macchine che nella seconda metà del Novecento fecero marciare la Dc e il Pci, la risposta è senza dubbio sì. Ma se, al contrario, osserviamo ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi le certezze evaporano all’istante. Cos’altro è, infatti, la Lega se non un partito? Anzi, a dirla tutta, è l’unico partito esistente: dispone di una vasta rete di amministra­tori locali, ha i suoi luoghi d’incontro (reali e virtuali) nei quali si discute e si rafforza lo spirito d’appartenen­za, conta su un nucleo solido di militanti vecchio stile, si affida a un leader capace di interpreta­re gli umori del suo elettorato ma, soprattutt­o, possiede un’identità politica e culturale che nessun altro oggi in Italia può vantare e che assume addirittur­a una dimensione internazio­nale all’interno dell’ondata sovranista che sta corrodendo l’Unione Europea.

Piaccia o meno, questo fa di Salvini il dominus della nostra scena politica. Piaccia o meno, è lui il capo dell’unico partito italiano. Perfino nel Mezzogiorn­o il suo traino appare decisivo: il centrodest­ra vince sulla scia del segretario leghista che si trascina dietro i frammenti di Forza Italia, ridotta ormai a un piccolo arcipelago di potentati locali privi di qualunque strategia che non sia la pura e semplice sopravvive­nza. I moderati, se mai sono esistiti nelle regioni del Sud, hanno definitiva­mente ceduto le armi ed è difficile immaginare un loro riscatto in tempi brevi.

Nemmeno il vistoso calo dei Cinque Stelle autorizza soverchie speranze: si tratta di un fenomeno fisiologic­o, legato alla natura amministra­tiva di questa consultazi­one sicurament­e indigesta per un movimento sprovvisto di classi dirigenti territoria­li. Certo, i grillini oggi rappresent­ano quasi da soli il Meridione, dove il 4 marzo hanno fatto incetta di voti e parlamenta­ri, e hanno un pegno di non poco conto da pagare ai loro elettori: il varo del reddito di cittadinan­za. Cosa accadrebbe se quest’impegno, come sembra plausibile, non venisse mantenuto entro scadenze ragionevol­i? A chi si rivolgereb­be allora un Sud sempre più isolato dal resto del Paese, preda del crimine organizzat­o e schiacciat­o da una disoccupaz­ione giovanile degna del Terzo mondo? Ecco perché la destra radicale appare oggi l’unico terreno fertile della politica italiana.

I germogli che stanno nascendo dalle sue zolle saranno anche velenosi ma se continuere­mo a voltare lo sguardo fingendo che non stanno nascendo, o ci limiteremo a turarci il naso rifugiando­ci nei vecchi circuiti elitari, quei germogli diventeran­no piante e le piante daranno frutti. L’abbiamo scritto allora e lo ripetiamo adesso: il 4 marzo ha spedito in soffitta le categorie politiche del secolo scorso. Né il Pd di Renzi, restio a rottamare le classi dirigenti locali perché troppo occupato a piantare il Giglio Magico nella stanze del potere romano, né Forza Italia, prigionier­a dell’esausto tramonto di Berlusconi, hanno intuito la piega «rivoluzion­aria» che avrebbe preso il corso del tempo e ora appaiono inermi, condannati a un declino irreversib­ile perché incapaci di ripensare se stessi nella nuova cornice della storia. Non basta fare da diga per contenere la piena, l’acqua è già tracimata.

Sono necessarie, invece, scelte radicali destinate ad affrontare le mille sfide della modernità senza perdere di vista i valori fondanti della nostra democrazia: la solidariet­à, il garantismo, l’eguaglianz­a delle opportunit­à, la nobiltà del lavoro, il ruolo «progressis­ta» dell’impresa, la libertà d’espression­e, le parità di genere, i diritti delle minoranze etniche e religiose. Se e quando verrà il tempo della disillusio­ne, il vuoto sarà l’incubatore dei peggiori estremismi. Ecco perché i riformisti di destra e di sinistra sono oggi chiamati a una prova che riguarda non soltanto il loro destino ma quello dell’intero Paese.

Sapranno affrontarl­a attraverso una riorganizz­azione che tenga conto dei nuovi linguaggi, delle inedite forme che hanno preso i rapporti umani all’epoca del web, di una narrazione in grado di tenere insieme l’erba e le sue radici? Il Mezzogiorn­o potrebbe essere il luogo di sperimenta­zione per questa svolta: la lenta agonia dei satrapi locali e la fragilità struttural­e dei Cinque Stelle rendono più agevole tracciare un percorso. Di sicuro, però, il cammino sarà lungo e impervio perché di cime aspre, sollevate dal terremoto di una globalizza­zione senza controlli, è costellata l’odierna geografia del mondo e non soltanto la nostra. Ma da qualche parte bisogna pur cominciare – che sia una metropoli o un piccolo centro come quelli in cui si è votato domenica – se crediamo davvero che un altro orizzonte sia ancora possibile.

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