Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Antonio ha perso (anche) la casetta sugli scogli

Sfrattato dopo otto anni: meglio dormire qui che sui binari

- Di Fabrizio Geremicca

Per 8 anni ha vissuto in una baracca costruita sugli scogli che chiamava la «mia casetta». Ma ieri Antonio E. è stato fatto sloggiare dagli uomini della Capitaneri­a.

Alle nove del mattino, quando il gommone della capitaneri­a di porto accosta ai frangiflut­ti e gli uomini con le pettorine della guardia costiera si avvicinano al suo giaciglio, Antonio E., l’uomo che ha vissuto per otto anni sugli scogli, spunta fuori da un anfratto ricavato con cassette di plastica della frutta ancorate ai massi con il cemento e ricoperte a loro volta di cemento. E’ la sua stanza da letto. Pantalone leggero blu, maglia di identico colore, cappellino verde e occhiali esegue docilmente l’invito di chi è venuto per mandarlo via. Scende per la scaletta sistemata per superare il dislivello di un paio di metri tra il molo Luise e la scogliera e percorre qualche passo, seguito a vista dalla capitaneri­a di porto, dai vigili e dalla polizia che temono gesti di autolesion­ismo. Non dice una parola e non risponde a chi prova ad incoraggia­rlo e a confortarl­o.

Quando entra in azione il ragno meccanico del camion della ditta che è stata individuat­a per distrugger­e la sua tana abusiva e malsana ad un passo dal lusso sfacciato degli yacht all’ormeggio, si accuccia spalle al muro, mani sul volto, e piange come un bambino. Si dispera e si arrabbia, poi di nuovo silenzio. Lo sgombero, che è stato deciso di concerto dalla Guardia Costiera e dall’Autorità Portuale, prosegue. Spuntano piatti, stoviglie, vestiti, un documento che racconta che quell’uomo, anni fa, scelse di andare via da una struttura di ricovero. Ancora: spiccioli, un materasso. Sul molo chi ha conosciuto Antonio nei suoi anni di esilio volontario tra i massi ricostruis­ce per frammenti la sua vita o, almeno, quella che lui ha raccontato a loro.

«Odia la moglie – riferisce un sommozzato­re del porticciol­o – ed ha due figli, una ragazza ed un ragazzo, che però non vede da tempo. Prima di finire in strada viveva in una casa a Poggioreal­e. Di mestiere è imbianchin­o. Sente poco e non vede quasi nulla da un occhio». Un altro addetto al molo dice che in inverno lo hanno ospitato nella roulotte e che Massimo Luise, il concession­ario dell’imbarcader­o, gli aveva regalato un apparecchi­o acustico, mai utilizzato perché gli dava fastidio. I vigili urbani, intanto, cercano di contattare i figli di Antonio. Vincenzo, il più grande, risponde che non vuole sapere più nulla del padre. Alle 11 arrivano finalmente un paio di assistenti sociali del Comune. Tentano senza troppa convinzion­e di stabilire una relazione, ma desistono dopo una brusca risposta. Ci si interroga tutti sulla possibilit­à che l’uomo abbia accesso ad una pensione di invalidità.

L’ex imbianchin­o, nel frattempo, si sposta alla punta del molo, quella che guarda il mare aperto, e si sistema all’ombra. Francesco, il cuoco di uno yacht, gli va incontro con una busta che contiene un panino. Ci si siede e si scruta il Vesuvio.«Non mi ha voluto neanche il mare», mormora. Improvvisa­mente ha voglia di parlare. Racconta delle mareggiate a un passo dal suo giaciglio, della pioggia e del cibo che i volontari della Caritas gli portano fin lì, in mezzo ai massi. Gli stessi che lo hanno accompagna­to al Monaldi per provare a recuperare quell’occhio malato. Dice che quella casa tra gli scogli che sta sparendo pezzo dopo pezzo era molto meglio che dormire sui treni a Campi Flegrei, come ha fatto prima di andare al molo Luise, perché lì i suoi compagni di sventura bevevano, sporcavano e diventavan­o violenti. Ti parla di quando era ragazzino. «Stavo a Portici ed ho cominciato a lavorare presto, a 13 anni. Eravamo nove tra fratelli e sorelle. Papà era manovale. Guadagnavo come pittore, tenevo sempre le sigarette in tasca. Le mamme dei miei amici erano contente se i loro figli uscivano con me, sapevano che stavamo tranquilli, che li facevo rigare dritti».

Racconta, ancora, del suo matrimonio con Maria – «da giovane era bellissima» – nel 1989. Di Vincenzo, che è nato nel 1991, e di Stefania, tre anni più piccola del fratello. «Dopo sposato – va avanti sul filo della memoria – lavoravo tutta la settimana a Campobasso, a casa stavo poco. Un giorno sono tornato e mia moglie era andata via con i bambini. L’ultima volta che ho visto Stefania è stato in occasione della sua prima comunione». Dissapori con la suocera, liti, pretese economiche eccessive – questa la sua parziale e non verificabi­le ricostruzi­one di un disastro matrimonia­le che è poi diventata una deriva esistenzia­le – avrebbero provocato la rottura. Alle 12.40 arriva la figlia. Lui la abbraccia e piange di nuovo. Restano a parlare sotto una pagliarell­a. Oggi, nel giorno del suo onomastico, Antonio compie 55 anni.

La ex vita

Ero sposato, ma a casa stavo poco. Un giorno sono tornato, mia moglie era andata via con i bimbi

 ??  ??
 ??  ?? Lo sgombero L’intervento della capitaneri­a di Porto ieri mattina a Mergellina
Lo sgombero L’intervento della capitaneri­a di Porto ieri mattina a Mergellina

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy