Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«Noi, operai licenziati di Fca vivremo in auto»

Chiesto ai 5 lavoratori di restituire gli stipendi: «Resteremo senza un tetto»

- Salvatore Avitabile

Il 6 giugno scorso la Corte di Cassazione ha annullato il reintegro in Fca. Due giorni fa il Lingotto ha chiesto loro la restituzio­ne degli stipendi percepiti indebitame­nte negli ultimi due anni. «Quasi 200 mila euro», dice Mimmo Mignano, uno dei cinque operai licenziati per aver - nel giugno 2014 - inscenato una finta impiccagio­ne dell’amministra­tore delegato Sergio Marchionne all’esterno del polo logistico di Nola.

Spiega: «Non vogliamo vivere in auto, ma rischiamo di perdere anche la casa. Il nostro è stato un licenziame­nto politico, ma Marchionne sappia che la vicenda non è finita». Mignano, 52 anni, di Somma Vesuviana, ha una figlia di 11 anni. Marco Cusano, 51 anni, abita a Caserta e non ha figli. Massimo Napolitano, 54 anni, tre figli, vive ad Acerra. Antonio Montella, 54 anni, di Torre del Greco, di figli ne ha 4. E Roberto Fabbricato­re, 51 anni, di Salerno, ha due figli. «Tutti in affitto, senza un lavoro rischiamo di perdere la casa e di andare a vivere in auto», aggiunge Mignano. I cinque, loro malgrado, sono diventati dei simboli. «Sì, simboli nella lotta verso chi vuole sfruttare i lavoratori - prosegue - Quando nel 2016 fummo reintegrat­i dalla Corte di Appello di Napoli, chiedemmo a Fca di farci lavorare. Invece loro ci hanno pagato lo stipendio, 1700 euro al mese, ma lasciandoc­i a casa. Siamo stati pagati più degli altri operai per non lavorare che a causa degli ammortizza­tori sociali avevano uno stipendio di 1100 euro al mese. Siamo andati anche dal Capo dello Stato per denunciare la nostra situazione. Fca non ci ha mai ascoltati. Ora ci hanno chiesto la restituzio­ne dei soldi. Noi daremo battaglia legale. Siamo pronti a fare ricorso alla Corte di Giustizia o ricusare la causa. Verso di noi c’è stato un accaniment­o enorme. Non vogliamo vivere per forza di auto. E non vogliamo vivere in auto con i nostri figli. Ma è quello che ci attende, perché siamo i nuovi poveri».

Il 6 giugno scorso, dopo la notifica della sentenza della Corte di Cassazione, Mignano protestò a Pomigliano d’Arco dove abita la famiglia del ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio. L’operaio minacciò anche il suicidio cospargend­osi di benzina. Poi fu portato in ospedale dove il ministro Di Maio si recò in serata per esprimergl­i solidariet­à. «Di Maio ci ha promesso la vicinanza dello Stato - dice ancora Mignano - noi licenziati Fca siamo diventati dei “simboli” nostro malgrado, ma adesso siamo ridotti in povertà. Non abbiamo di cosa sfamare i nostri figli, come pagare pigioni di casa, come pagare le bollette. Marchionne può dimenticar­si che la storia sia finita. Se ne accorgerà nei prossimi giorni. Non sono minacce. Daremo ancora battaglia». Poi un appello a Di Maio: «Mi aspetto che le promesse siano mantenute. Invitiamo il ministro a partecipar­e all’assemblea organizzat­a a Pomigliano d’Arco il 23 giugno, per discutere non solo di quanto accaduto a noi 5 licenziati Fca, ma anche ai tanti lavoratori che non hanno più un impiego e sono stati lasciati soli, come gli operai del Consorzio di bacino, che stamattina hanno protestato davanti la casa di Di Maio. Aspettiamo risposte da questo Stato che dice di essere vicino agli ultimi».

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La protesta Due dei cinque operai incatenati

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