Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Il boss che aspirava all’immortalità studiando le «macchine» di Sansevero
Massimo Nava firma la seconda avventura di Bastiani, ispettore sulle tracce di un criminale che aspira all’immortalità
«Volevo raccontare i misteri della Cappella Sansevero e del Principe Di Sangro, quintessenza della “magia” di Napoli: è stata anche un’occasione per ritornare, con la memoria, nella città di cui ho scritto per anni, da inviato», spiega Massimo Nava, editorialista da Parigi del «Corriere della Sera» e autore del romanzo Il boss è immortale (Mondadori).
In questa seconda avventura dell’ispettore dell’Interpol Bernard Bastiani, che i lettori hanno conosciuto nel precedente romanzo di Nava Il mercante di quadri scomparsi, si intrecciano il furto di una delle due «macchine anatomiche» custodite nella Cappella Sansevero, riti iniziatici, camorra e trame criminali internazionali. Sullo sfondo due città, Napoli e Lione, unite fra loro da elementi esoterici.
Il volume sarà presentato oggi alle 18.30 alla Libreria del Cinema e del Teatro, via del Parco Margherita 35. Parteciperanno Giulio Adinolfi, Brunella Schisa, Fabrizio Masucci e Francesco Durante.
Cosa la affascina della storia del Principe di Sansevero e della Cappella?
«Rappresenta, per me, la quintessenza della “magia” di Napoli. La Cappella è un luogo leggendario, carico di simboli esoterici e misteri. La figura di Raimondo di Sangro, pensatore illuminista attorno al quale si sono sviluppate le leggende più macabre, è ricca di spunti narrativi che mi interessava approfondire. E, naturalmente, la Cappella è uno dei monumenti più famosi e visitati della città».
C’è qualche rimando, nel suo romanzo, alla letteratura gotica anglosassone dei secoli scorsi, in cui Napoli appariva spesso?
«Certo. Come ricorda uno dei miei personaggi, e come credo pochi sappiano, Mary Shelley colloca il luogo di na- scita di Victor Frankenstein proprio all’ombra del Vesuvio. Si capisce quindi come questa città abbia potuto, con tutti i suoi suggestivi misteri, colpire l’immaginazione degli autori di quel genere letterario. Inoltre, uno dei temi del mio libro è quello dei moderni progressi scientifici nel campo del prolungamento della vita: il parallelo con Frankenstein è facile da cogliere».
Lei è stato a lungo inviato a Napoli per il «Corriere della Sera». «Il boss è immortale» raccoglie qualche elemento di quella esperienza?
«Ho sempre sostenuto che la città rappresenti la miglior scuola di giornalismo che si possa immaginare per chi voglia intraprendere questo mestiere. Per scrivere il romanzo mi sono immerso di nuovo in questa realtà e, allo stesso tempo, sono tornato con la memoria ai primi anni Ottanta: la Napoli che vidi all’epoca era quella del terremoto, di Cutolo e delle guerre di camorra. Nella mia descrizione dell’ambiente criminale c’è sicuramente una reminiscenza di quel periodo. E poi c’è il personaggio del giovane giornalista Paolo Sini, un omaggio a Giancarlo Siani».
Cosa ricorda, in particolare, di quella stagione?
«L’incontro con i colleghi che sono diventati, negli anni, alcuni fra i nomi più importanti di questo settore, come Giuseppe D’Avanzo, Antonio Polito, Sandro Ruotolo, Luigi Vicinanza, Federico Geremicca, Francesco Durante e tanti altri. Eravamo giovani cronisti alle prese con una città difficile da raccontare, in cui nulla è quello che sembra e c’è bisogno di una particolare abilità nell’approfondire i fatti, nel conoscere e collegare fra loro i retroscena».
Torniamo al romanzo. Lei racconta di come la criminalità organizzata si appropri dell’immaginario religioso e misterico. In che modo ha sviluppato questo tema?
«La mafia ha sempre cercato una legittimazione religiosa. Basta pensare alle tante processioni che nel Sud Italia culminano con l’“inchino” della statua di un santo di fronte alla casa di un boss locale. Per non parlare di altre grandi città non meridionali come Roma: lì Enrico De Pedis, uno dei capi della Banda della Magliana, fu sepolto nella basilica di Sant’Apollinare. Nel rapporto con la chiesa e con le tradizioni, la criminalità cerca senza dubbio anche un’espiazione ai mali inferti, quasi un esorcismo della violenza perpetrata. Ed ha un immaginario mitico, permeato di elementi esoterici. Il mio boss vorrebbe raggiungere l’immortalità e, per questo, subirà il fascino dei misteri iniziatici del Principe di Sansevero».