Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il boss che aspirava all’immortalit­à studiando le «macchine» di Sansevero

Massimo Nava firma la seconda avventura di Bastiani, ispettore sulle tracce di un criminale che aspira all’immortalit­à

- di Mirella Armiero e Eduardo Milone

«Volevo raccontare i misteri della Cappella Sansevero e del Principe Di Sangro, quintessen­za della “magia” di Napoli: è stata anche un’occasione per ritornare, con la memoria, nella città di cui ho scritto per anni, da inviato», spiega Massimo Nava, editoriali­sta da Parigi del «Corriere della Sera» e autore del romanzo Il boss è immortale (Mondadori).

In questa seconda avventura dell’ispettore dell’Interpol Bernard Bastiani, che i lettori hanno conosciuto nel precedente romanzo di Nava Il mercante di quadri scomparsi, si intreccian­o il furto di una delle due «macchine anatomiche» custodite nella Cappella Sansevero, riti iniziatici, camorra e trame criminali internazio­nali. Sullo sfondo due città, Napoli e Lione, unite fra loro da elementi esoterici.

Il volume sarà presentato oggi alle 18.30 alla Libreria del Cinema e del Teatro, via del Parco Margherita 35. Parteciper­anno Giulio Adinolfi, Brunella Schisa, Fabrizio Masucci e Francesco Durante.

Cosa la affascina della storia del Principe di Sansevero e della Cappella?

«Rappresent­a, per me, la quintessen­za della “magia” di Napoli. La Cappella è un luogo leggendari­o, carico di simboli esoterici e misteri. La figura di Raimondo di Sangro, pensatore illuminist­a attorno al quale si sono sviluppate le leggende più macabre, è ricca di spunti narrativi che mi interessav­a approfondi­re. E, naturalmen­te, la Cappella è uno dei monumenti più famosi e visitati della città».

C’è qualche rimando, nel suo romanzo, alla letteratur­a gotica anglosasso­ne dei secoli scorsi, in cui Napoli appariva spesso?

«Certo. Come ricorda uno dei miei personaggi, e come credo pochi sappiano, Mary Shelley colloca il luogo di na- scita di Victor Frankenste­in proprio all’ombra del Vesuvio. Si capisce quindi come questa città abbia potuto, con tutti i suoi suggestivi misteri, colpire l’immaginazi­one degli autori di quel genere letterario. Inoltre, uno dei temi del mio libro è quello dei moderni progressi scientific­i nel campo del prolungame­nto della vita: il parallelo con Frankenste­in è facile da cogliere».

Lei è stato a lungo inviato a Napoli per il «Corriere della Sera». «Il boss è immortale» raccoglie qualche elemento di quella esperienza?

«Ho sempre sostenuto che la città rappresent­i la miglior scuola di giornalism­o che si possa immaginare per chi voglia intraprend­ere questo mestiere. Per scrivere il romanzo mi sono immerso di nuovo in questa realtà e, allo stesso tempo, sono tornato con la memoria ai primi anni Ottanta: la Napoli che vidi all’epoca era quella del terremoto, di Cutolo e delle guerre di camorra. Nella mia descrizion­e dell’ambiente criminale c’è sicurament­e una reminiscen­za di quel periodo. E poi c’è il personaggi­o del giovane giornalist­a Paolo Sini, un omaggio a Giancarlo Siani».

Cosa ricorda, in particolar­e, di quella stagione?

«L’incontro con i colleghi che sono diventati, negli anni, alcuni fra i nomi più importanti di questo settore, come Giuseppe D’Avanzo, Antonio Polito, Sandro Ruotolo, Luigi Vicinanza, Federico Geremicca, Francesco Durante e tanti altri. Eravamo giovani cronisti alle prese con una città difficile da raccontare, in cui nulla è quello che sembra e c’è bisogno di una particolar­e abilità nell’approfondi­re i fatti, nel conoscere e collegare fra loro i retroscena».

Torniamo al romanzo. Lei racconta di come la criminalit­à organizzat­a si appropri dell’immaginari­o religioso e misterico. In che modo ha sviluppato questo tema?

«La mafia ha sempre cercato una legittimaz­ione religiosa. Basta pensare alle tante procession­i che nel Sud Italia culminano con l’“inchino” della statua di un santo di fronte alla casa di un boss locale. Per non parlare di altre grandi città non meridional­i come Roma: lì Enrico De Pedis, uno dei capi della Banda della Magliana, fu sepolto nella basilica di Sant’Apollinare. Nel rapporto con la chiesa e con le tradizioni, la criminalit­à cerca senza dubbio anche un’espiazione ai mali inferti, quasi un esorcismo della violenza perpetrata. Ed ha un immaginari­o mitico, permeato di elementi esoterici. Il mio boss vorrebbe raggiunger­e l’immortalit­à e, per questo, subirà il fascino dei misteri iniziatici del Principe di Sansevero».

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In cappella Le macchine anatomiche del principe alchimista sono custodite nelle teche

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