Corriere del Mezzogiorno (Campania)
UNA PARTITA A SCACCHI
Tanto tuonò che piovve. Dopo anni di auspici e speranze di costituire un comitato delle Regioni meridionali, ieri Vincenzo De Luca è riuscito a dare corpo e gambe al Patto per il Sud, mettendo insieme tutti i governatori meridionali attorno a una proposta specifica e concreta, un maxi piano per il lavoro ai giovani nelle Pubbliche amministrazioni. Un’idea non solo condivisa dagli altri presidenti, ma che avvia una rete di rapporti più fitta e continuativa che si allarga ad altri temi, dalle infrastrutture, al riparto delle risorse per l’Università, la sanità, le politiche sociali. E che può trovare in un federalismo fiscale equo e solidale che dia attuazione piena alla legge 42 una concreta applicazione di una battaglia meridionalistica non solo verbale. Perché è quella legge che stabilisce il vincolo del finanziamento integrale secondo criteri di prestazioni e costi standard, della perequazione infrastrutturale, della difesa dei diritti di cittadinanza indipendentemente da dove si viva. Spiace che il governo abbia snobbato un evento come questo, forse ritenendo che i presidenti delle Regioni meridionali, in gran parte di centro sinistra ma anche di centro destra, abbiano voluto, De Luca in primis, con questa mossa spiazzare la strategia che i 5 Stelle intendono portare avanti al Sud.
E che si fonda, almeno per ora, soprattutto sul Reddito di Cittadinanza, misura giusta e opportuna, peraltro largamente diffusa nel mondo occidentale. Ma che, è inutile nasconderselo, presenta alcune oggettive difficoltà di applicazione: costi per il bilancio pubblico non indifferenti e centri per l’impiego non sempre all’altezza della sfida.
Una misura che deve essere comunque transitoria, in attesa che la ripresa sociale segua quella economica già in
atto, se non la si vuole trasformare in una strategia assistenziale. In quanto alla fine ciò che fa premio su tutto è il lavoro, un’occupazione vera e aggiuntiva per i troppi giovani meridionali a spasso.
E qui si inserisce il grande piano della Campania per il lavoro. Lavoro nella Pubblica amministrazione, si dirà, dopo che per anni gli economisti hanno sostenuto che sono le imprese e non lo Stato a creare occupazione. Ma in questo caso, bisogna ammetterlo, il piano ha una sua logica intrinseca e condivisibile: 10 mila giovani da immettere nei ranghi della Pubblica amministrazione regionale al termine di un percorso di formazione a stipendio inizialmente ridotto non costituiscono il vecchio modo di ampliare surrettiziamente gli organici. In quanto vanno a sostituire tra i 7 e i 13 mila occupati negli enti pubblici che vanno in pensione. Non solo, ma energie fresche e giovanili, meglio formate, sicuramente con forti competenze digitali, possono imprimere quella svolta innovativa a una burocrazia pubblica i cui limiti evidenti sono noti a tutti e che costituisce essa stessa un freno allo sviluppo economico meridionale. Per di più il piano campano, così assicura il governatore, sarà interamente finanziato dalla Regione.
Gli altri presidenti, ciascuno per la sua parte, sono pronti a seguirlo su questa strada, perché in tutte le Regioni del Sud i problemi sono analoghi.
Si tratta di un’operazione politica da far decollare a inizi 2019 in vista delle regionali dell’anno successivo? Può essere, ma ciò che conta è il risultato, e se sul terreno occupazionale si riesce a fare qualche primo, timido passo avanti, mai come in questo caso il fine giustifica i mezzi.