Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«FULL ‘E FOOLS» POKER PER CINQUE BARBONI
Al Palazzo Reale, per il Teatro Festival, di scena la pièce di Paolo «Shaone» Romano L’autore: «Le storie di ognuno si incrociano con quelle di personaggi shakespeariani evocando le figure di Lady Macbeth, Lavinia, Re Lear, Riccardo III e il piccolo Puck»
Dal rap degli anni ’80 all’attuale scrittura teatrale, passando per la collaborazione con Roberto De Simone. Paolo «Shaone» Romano è l’autore e uno dei protagonisti di «Full ‘e Fools» (full di matti), lo spettacolo che, per la sezione Osservatorio del Napoli Teatro Festival Italia, debutta stasera alle 21.30 nel Cortile delle Carrozze di Palazzo Reale. Una pièce sui diseredati di Napoli e del mondo, interpretata dalla compagnia Crown Theater.
«Uno spettacolo – spiega Romano - che vuole essere metafora del tempo contemporaneo, in cui a un massimo di visibilità e splendore corrisponde sempre un massimo di ombre e di oscurità, un fenomeno sempre più evidente nella nostra società occidentale. Con me in scena ci sono anche Rossella Amato, Gianluca D’Agostino, Marcella Granito, e il piccolo Gabriele Carlo D’Aquino, con cui abbiamo dato vita a un’attività laboratoriale che ci ha portati infine a questo testo che parla di una partita a carte mai giocata, quella del punto di poker del titolo, diventata però il pretesto per una sorta di terapia di gruppo, dove a turno i reietti confessano un vissuto carico di piccoli o grandi tragedie».
Una partita mai giocata, ma da chi?
«Da un gruppo di barboni (Vagabonna, Casino, Malora, ‘On Barbo’ e Discolo), “scarto” della società opulenta, che viesordi. ve sotto il cavalcavia di una periferia napoletana. E in questa occasione, per la prima volta, provano a conoscersi raccontando ognuno la propria storia. Una storia in napoletano che fatalmente si incrocia con quella di alcuni personaggi shakespeariani come Lady Macbeth, Lavinia, Re Lear, Riccardo III e il piccolo Puck che farà da Deus ex Machina del teatro greco».
Un ritorno all’opera del Bardo, quindi?
«Sì, ma solo come filigrana del testo. Nella parte centrale di “Mal’essere” diretto l’anno scorso da Davide Iodice, per cui avevo firmato il pezzo intitolato “To be or not to be”, era più esplicito, qui invece è molto più evocativo e simbolico».
Ma resta la sua scrittura dalle cadenze decisamente rap?
«In questo caso parlerei soprattutto di scrittura ritmica, ma molto più aperta e narrativa rispetto a quella precedente esperienza teatrale. Io ho iniziato negli anni ’80 facendo la break dance per strada (da cui il mio soprannome di ‘Shao’ e dopo “Shaone”, contrazione di sciancato, come mi chiamava la gente) e con una sorta di hip hop degli Per cui quel tempo, quella misura, mi sono rimasti dentro, tanto è vero che è appena uscito il mio cd “Over”, che conserva quel linguaggio. Ma a un certo punto quel tipo di espressione mi è andata anche stretta, spingendomi verso modi di scrittura meno rigidi. Un’evoluzione per la quale devo ringraziare soprattutto l’incontro con il maestro De Simone che mi fece collaborare alla realizzazione dell’“Histoire du soldat” presentato all’opera di Roma nel 2004».