Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Napoli e la camorra si possono ben raccontare oltre i cliché di Gomorra
A Bagnoli alberghi a cinque stelle con facciate di cristallo, un centro congressi e poi yacht club e tutto il repertorio di una modernità tirata su a colpi di mazzette e appalti truccati. È uno scenario futuribile che Massimo Nava ci lascia intravedere per un attimo nel suo nuovo romanzo, Il boss è immortale
(Mondadori). L’editorialista da Parigi del Corriere della Sera è stato a lungo inviato a Napoli ed evidentemente ha colto in pieno quel materiale magmatico che la città contiene nelle sue viscere e che da tempo alimenta la vena di una certa letteratura attenta a raccontarne il
genius loci. Nava ha subìto il fascino del «corpo di Napoli» più sanguigno e autentico, ma anche dell’elemento esoterico insito nell’identità culturale della città e ha trasferito queste componenti in una trama avvincente e tesa. Al centro della vicenda c’è il vecchio boss Michele, malato terminale. E questa sua condizione dà modo allo scrittore di affrontare in controluce temi esistenziali, come la fine della vita e il desiderio dell’immortalità, sia pure inseriti in un intreccio giallo. L’oggetto trafugato su cui si svolge l’indagine è nientedimeno che una delle macchine anatomiche del principe di Sansevero, ma c’è di mezzo anche il rapimento di una giovane inglese che studia all’Orientale. A riannodare i fili della complessa tela, da Napoli a Lione, ci sono l’ispettore Bastiani (già presente nel primo romanzo di Nava) e il colonnello dei carabinieri Gagliano. A loro toccherà fare luce sui loschi affari di don Michele, che è un boss lontano dallo stereotipo di genere. La camorra, per Nava, è senz’altro una realtà drammatica, da interpretare nella sua complessità, fatta anche di zone grigie: per questo l’autore utilizza un codice narrativo convincente e per fortuna assai lontano dai consueti cliché post Gomorra.