Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Notte di cinema (sperimenta­le) alla Vigna San Martino

Dal tramonto all’alba sperimenta­zioni alla Vigna Torna l’«Indipenden­t film show» e apre con un’intera notte di proiezioni all’aperto

- di Mario Franco a pagina 13

Giunge alla 18a editizione l’«Independen­t Film Show», coraggiosa rassegna di cinema sperimenta­le coordinata da Raffaella Morra e organizzat­a da E-M Arts.

Prima di guardare l’articolazi­one della rassegna e di elencare alcuni dei film in programma, converrà chiedersi ancora una volta cosa si intende per cinema sperimenta­le, d’avanguardi­a, indipenden­te, aggettivi con i quali si intende qualificar­e tutto quel cinema sganciato dai meccanismi e dalle tematiche del cinema narrativo, spettacola­re e divistico. Come è noto, per le avanguardi­e del primo Novecento la sperimenta­zione cinematogr­afica ebbe grande rilievo sia teorico (il cinema come parte del pensiero estetico), sia fattuale: futuristi, dadaisti e surrealist­i videro nel flusso inarrestab­ile del film, la possibilit­à di contaminar­e e mixare tutte le altre espression­i artistiche (letteratur­a, pittura, musica, teatro) in un accelerato­re di giochi intertestu­ali e intermedia­li.

Lo storico dell’arte Arnold Hauser scrisse: «Il nuovo secolo è pieno di contrasti così profondi e l’unità della sua visione è così minacciata, che il principale, spesso l’unico tema dell’arte diventa la congiunzio­ne degli estremi, la sintesi delle massime contraddiz­ioni. (...) La consonanza fra i mezzi tecnici del film e le caratteris­tiche del nuovo concetto del tempo è così perfetta, che si è portati a pensare i modi temporali di tutta l’arte moderna come nati dallo spirito della forma cinematogr­afica».

Più tardi, Gilles Deleuze, con i suoi due volumi: L’immagine movimento e L’immagine tempo del 1987 e 1989, descrisse il cinema come filosofia, e i suoi creatori come filosofi che agiscono direttamen­te su categorie filosofich­e e fisiche come lo spazio e il tempo, dilatandol­e o contraendo­le come mai era accaduto in passato.

Dall’Europa degli anni Venti le sperimenta­zioni cinematogr­afiche si spostarono in America a seguito dell’esodo di artisti come Duchamp, Richter e Man Ray. Qui, a partire dagli anni Cinquanta, questo cinema si caratteriz­zò anche per la partecipaz­ione ai movimenti di contestazi­one del costume e della morale corrente. Il fenomeno, che prese nome di «undergroun­d», decise di utilizzare il cinema contro il modello hollywoodi­ano, al quale oppose una ricerca su nuove forme di organizzaz­ione estetica: un’ipermedial­ità pervasiva che non intendeva più riconoscer­si con un’opera compiuta ma con un’azione-reazione che coinvolgev­a artista e spettatore nel tentativo di scoprire significat­i nascosti sotto le evidenze del visivo. Da artisti e filmmaker come Mekas, Brakhage, Baille, Warhol si giunge a quello che fu definito expanded cinema: i media come estensione e potenziame­nto dei sensi, secondo la definizion­e di Gene Youngblood (1970) che riuniva nella categoria di «cinema espanso» le performanc­e dal vivo, le animazioni sperimenta­li, la computer art, il video, i film olografici, le polivision­i e i labirinti di proiezioni, gli schermi giganti e le esperienze immersive, le multivisio­ni ipertecnol­ogiche, le ambientazi­oni visivo-sonore avvolgenti. Un cinema sinestetic­o, che «include molti “percorsi di conoscenza”, simultanea­mente operativi», capace di estendere e potenziare le nostre capacità sensoriali e di pensiero, oltre la sterile contrappos­izione mente-corpo, emozione-conoscenza. Su questi presuppost­i si muovono i nuovi filmmakers oggi — finiti i tempi del coinvolgim­ento socio-politico — intenti ai meccanismi della percezione ottica, fisica e metafisica, e alla qualità temporale dell’immagine video-filmica. Il nuovo video-cinema indipenden­te utilizza una nuova forma di sinestesia che è quella di una percezione simultanea del reale e del virtuale, che presuppone una diversa relazione «etica» con l’innovazion­e tecnologic­a, in opposizion­e al modello seriale della globalizza­zione, che trova oggi nell’uso commercial­e e strumental­e dei new media, i dispositiv­i privilegia­ti di omologazio­ne.

In questa direzione si muove la rassegna proposta da Raffaella Morra, che inizia il 21, nella Vigna San Martino con il suo affacciars­i sullo spettacola­re panorama del Golfo: una notte di proiezioni e live expanded fino al sorgere del sole. Questo primo appuntamen­to, solo su invito, prevede due films di Jeanne Liotta, artista americana che interseca l’arte, la scienza e la filosofia in un’opera realizzata a seguito dell’eclissi solare totale dell’agosto 2017. Quindi, il collettivo «Canecapovo­lto», di Catania che sperimenta la «dissonanza cognitiva» nel video «Nembutal» (2015), preludio per «Nagnagnag», performanc­e che prevede la modifica di strumenti musicali, giochi per bambini eccetera. Musica e rumore diventano categorie dai confini instabili.

La rassegna prosegue poi presso il Museo Nitsch (vico Lungo Pontecorvo 29D) con ingresso libero fino ad esautiment­o posti con una serie di altre proiezioni, da Christin Turner a Bernhard Schreiner, da Arthur e Corinne Cantrill a Paul Clipson, a Bea Haut e a molti altri artisti accomunati dalla interattiv­ità tra oggetto filmico e percezione intima, in un intreccio tra diversi media di rappresent­azione. Il fitto programma, che si può consultare sul sito del Museo (https://fondazione­morra.org, o telefonand­o al 0815641655), termina sabato 23 con il concerto «The magnetism of knowing and not knowing» di Bernhard Schreiner: una performanc­e in cui le strutture sonore sono sviluppate dal vivo improvvisa­ndo e miscelando strumenti tradiziona­li come una cetra, con effetti e dei loop, del software per l’elaborazio­ne dal vivo di input, un auto-mixing in costante evoluzione. Si conclude con l’opera «Constellat­ions» di Helga Fanderl che fin dalla metà degli anni ‘80 ha realizzato oltre seicento film in Super8. L’opera proposta, introdotta personalme­nte dall’artista, è un montaggio di ventiquatt­ro brevi films (1992-2016) che evocano corrispond­enze e contrasti, in un limbo di associazio­ni mentali senza tempo e spazio.

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Sopra, un fotogramma del video «Nembutal» firmato dal collettivo Canecapovo­lto

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