Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Notte di cinema (sperimentale) alla Vigna San Martino
Dal tramonto all’alba sperimentazioni alla Vigna Torna l’«Indipendent film show» e apre con un’intera notte di proiezioni all’aperto
Giunge alla 18a editizione l’«Independent Film Show», coraggiosa rassegna di cinema sperimentale coordinata da Raffaella Morra e organizzata da E-M Arts.
Prima di guardare l’articolazione della rassegna e di elencare alcuni dei film in programma, converrà chiedersi ancora una volta cosa si intende per cinema sperimentale, d’avanguardia, indipendente, aggettivi con i quali si intende qualificare tutto quel cinema sganciato dai meccanismi e dalle tematiche del cinema narrativo, spettacolare e divistico. Come è noto, per le avanguardie del primo Novecento la sperimentazione cinematografica ebbe grande rilievo sia teorico (il cinema come parte del pensiero estetico), sia fattuale: futuristi, dadaisti e surrealisti videro nel flusso inarrestabile del film, la possibilità di contaminare e mixare tutte le altre espressioni artistiche (letteratura, pittura, musica, teatro) in un acceleratore di giochi intertestuali e intermediali.
Lo storico dell’arte Arnold Hauser scrisse: «Il nuovo secolo è pieno di contrasti così profondi e l’unità della sua visione è così minacciata, che il principale, spesso l’unico tema dell’arte diventa la congiunzione degli estremi, la sintesi delle massime contraddizioni. (...) La consonanza fra i mezzi tecnici del film e le caratteristiche del nuovo concetto del tempo è così perfetta, che si è portati a pensare i modi temporali di tutta l’arte moderna come nati dallo spirito della forma cinematografica».
Più tardi, Gilles Deleuze, con i suoi due volumi: L’immagine movimento e L’immagine tempo del 1987 e 1989, descrisse il cinema come filosofia, e i suoi creatori come filosofi che agiscono direttamente su categorie filosofiche e fisiche come lo spazio e il tempo, dilatandole o contraendole come mai era accaduto in passato.
Dall’Europa degli anni Venti le sperimentazioni cinematografiche si spostarono in America a seguito dell’esodo di artisti come Duchamp, Richter e Man Ray. Qui, a partire dagli anni Cinquanta, questo cinema si caratterizzò anche per la partecipazione ai movimenti di contestazione del costume e della morale corrente. Il fenomeno, che prese nome di «underground», decise di utilizzare il cinema contro il modello hollywoodiano, al quale oppose una ricerca su nuove forme di organizzazione estetica: un’ipermedialità pervasiva che non intendeva più riconoscersi con un’opera compiuta ma con un’azione-reazione che coinvolgeva artista e spettatore nel tentativo di scoprire significati nascosti sotto le evidenze del visivo. Da artisti e filmmaker come Mekas, Brakhage, Baille, Warhol si giunge a quello che fu definito expanded cinema: i media come estensione e potenziamento dei sensi, secondo la definizione di Gene Youngblood (1970) che riuniva nella categoria di «cinema espanso» le performance dal vivo, le animazioni sperimentali, la computer art, il video, i film olografici, le polivisioni e i labirinti di proiezioni, gli schermi giganti e le esperienze immersive, le multivisioni ipertecnologiche, le ambientazioni visivo-sonore avvolgenti. Un cinema sinestetico, che «include molti “percorsi di conoscenza”, simultaneamente operativi», capace di estendere e potenziare le nostre capacità sensoriali e di pensiero, oltre la sterile contrapposizione mente-corpo, emozione-conoscenza. Su questi presupposti si muovono i nuovi filmmakers oggi — finiti i tempi del coinvolgimento socio-politico — intenti ai meccanismi della percezione ottica, fisica e metafisica, e alla qualità temporale dell’immagine video-filmica. Il nuovo video-cinema indipendente utilizza una nuova forma di sinestesia che è quella di una percezione simultanea del reale e del virtuale, che presuppone una diversa relazione «etica» con l’innovazione tecnologica, in opposizione al modello seriale della globalizzazione, che trova oggi nell’uso commerciale e strumentale dei new media, i dispositivi privilegiati di omologazione.
In questa direzione si muove la rassegna proposta da Raffaella Morra, che inizia il 21, nella Vigna San Martino con il suo affacciarsi sullo spettacolare panorama del Golfo: una notte di proiezioni e live expanded fino al sorgere del sole. Questo primo appuntamento, solo su invito, prevede due films di Jeanne Liotta, artista americana che interseca l’arte, la scienza e la filosofia in un’opera realizzata a seguito dell’eclissi solare totale dell’agosto 2017. Quindi, il collettivo «Canecapovolto», di Catania che sperimenta la «dissonanza cognitiva» nel video «Nembutal» (2015), preludio per «Nagnagnag», performance che prevede la modifica di strumenti musicali, giochi per bambini eccetera. Musica e rumore diventano categorie dai confini instabili.
La rassegna prosegue poi presso il Museo Nitsch (vico Lungo Pontecorvo 29D) con ingresso libero fino ad esautimento posti con una serie di altre proiezioni, da Christin Turner a Bernhard Schreiner, da Arthur e Corinne Cantrill a Paul Clipson, a Bea Haut e a molti altri artisti accomunati dalla interattività tra oggetto filmico e percezione intima, in un intreccio tra diversi media di rappresentazione. Il fitto programma, che si può consultare sul sito del Museo (https://fondazionemorra.org, o telefonando al 0815641655), termina sabato 23 con il concerto «The magnetism of knowing and not knowing» di Bernhard Schreiner: una performance in cui le strutture sonore sono sviluppate dal vivo improvvisando e miscelando strumenti tradizionali come una cetra, con effetti e dei loop, del software per l’elaborazione dal vivo di input, un auto-mixing in costante evoluzione. Si conclude con l’opera «Constellations» di Helga Fanderl che fin dalla metà degli anni ‘80 ha realizzato oltre seicento film in Super8. L’opera proposta, introdotta personalmente dall’artista, è un montaggio di ventiquattro brevi films (1992-2016) che evocano corrispondenze e contrasti, in un limbo di associazioni mentali senza tempo e spazio.