Corriere del Mezzogiorno (Campania)
L’alleanza Lega-M5S e il dualismo Nord-Sud
Una situazione che appare paradossale e contraddittoria. I grillini hanno mietuto nel Sud una gran messe di voti, ma continuano a parlare poco della questione meridionale, del divario che ancora separa le due macro– regioni del Paese. E lo stesso atteggiamento ha tenuto il presidente del Consiglio Conte nel suo primo discorso in Parlamento.
Ha illustrato punto per punto il «contratto di programma» di marca Di Maio–Salvini e ha dedicato un breve cenno al tema Mezzogiorno, con linguaggio sottotono e come se non fosse un duro nodo della condizione italiana. Il nuovo governo non concepisce una politica di sviluppo di cui obiettivo centrale sia il superamento del dualismo tra Nord e Sud. Tanto è vero che proprio nel Mezzogiorno i governatori si riuniscono e danno vita a quello che qualcuno già definisce «il partito delle Regioni del Sud»
Il Mezzogiorno italiano è una delle macro-aree europee maggiormente colpite dalla recessione mondiale 2008-14. Gli effetti distruttivi della lunga crisi si sono abbattuti sulla sua struttura economica già indebolita dal precedente ristagno durato trenta anni, tanto più sfavorevole per un territorio che subisce gli svantaggi di un paese a economia dualistica. Il dualismo, lo sanno bene gli economisti che si dedicano alle problematiche dello sviluppo, è sempre portatore di un meccanismo «perverso» che fa sì che la regione «debole» non acquisti mai fattori di vantaggio rispetto alla regione «forte». Così il divario, se si pratica una politica economica di tipo liberista, non viene mai annullato. Per la ripresa e accelerazione dello sviluppo della area svantaggiata occorre una programmazione dello sviluppo in funzione anti-dualistica. Si potrebbe dire una politica di sfondamento, che in un tipico Paese a struttura dualistica come l’Italia non può non essere dispiegata su tempi mediolunghi.
Se questo è il quadrante in cui si colloca il «caso italiano», bisogna dire che la politica nazionale non è stata capace di venire al dunque. Esaurita l’esperienza positiva della politica di intervento straordinario nel Sud (in poco più di vent’anni il reddito pro capite è cresciuto di quasi quattro volte in termini reali, un risultato senza precedenti), il Paese perde la bussola sulla strada che dovrebbe portare alla sua unificazione economica. Un revisionismo radicale insorge e tiene la piazza a lungo, così da abbattere il nucleo dottrinale della tradizione meridionalista. Si proclama che il divario Nord-Sud non è di tipo dualistico e che solo uno «sviluppo dal basso» che faccia leva sul protagonismo della società e istituzioni locali può dare nuove prospettive al Mezzogiorno. Ne deriva una politica inadeguata e infruttuosa, in anni che vedono crescere il processo di globalizzazione economica trascinata da una fase eccezionale del progresso tecnologico.
Ma oggi a che punto siamo? I provvedimenti varati negli ultimi tre anni (Masterplan, Patti di sviluppo, Zone economiche speciali, incentivi per l’occupazione giovanile) formano un volano capace di accelerare e rendere stabile il ritmo di sviluppo del Mezzogiorno? Il problema di fondo è proprio questo: non una ripresa qualsiasi, ma un nuovo trend che si caratterizzi per intensità e stabilità in tempi politicamente accettabili. Un andamento con alti e bassi e con miglioramenti misurati in decimali non risolve il ritardo strutturale del Sud nell’epoca della economia globalizzata e delle rapide trasformazioni tecnologiche.
Il pacchetto di interventi in favore del Mezzogiorno dei governi Renzi e Gentiloni non sono di poco conto. Secondo l’ex ministro De Vincenti sono il frutto di «un organico lavoro di ripensamento e di confronto della questione meridionale». Da questo punto di vista, vogliono recuperare una logica di programmazione che assegna allo Stato una funzione di guida e di controllo e alle comunità e alle istituzioni locali il ruolo di definire le priorità «interpretando i bisogni dei loro cittadini». Una formula ambiziosa che non consente una previsione univoca sulle sue possibilità di successo.
Sul fronte del meridionalismo oggi c’è spazio per una ripresa del riformismo del Partito democratico: saprà questo uscire dalla sua attuale inerzia? Intanto, la migliore opinione pubblica meridionale dovrebbe far sentire forte la sua voce.