Corriere del Mezzogiorno (Campania)

L’alleanza Lega-M5S e il dualismo Nord-Sud

- Di Pietro Soldi

Una situazione che appare paradossal­e e contraddit­toria. I grillini hanno mietuto nel Sud una gran messe di voti, ma continuano a parlare poco della questione meridional­e, del divario che ancora separa le due macro– regioni del Paese. E lo stesso atteggiame­nto ha tenuto il presidente del Consiglio Conte nel suo primo discorso in Parlamento.

Ha illustrato punto per punto il «contratto di programma» di marca Di Maio–Salvini e ha dedicato un breve cenno al tema Mezzogiorn­o, con linguaggio sottotono e come se non fosse un duro nodo della condizione italiana. Il nuovo governo non concepisce una politica di sviluppo di cui obiettivo centrale sia il superament­o del dualismo tra Nord e Sud. Tanto è vero che proprio nel Mezzogiorn­o i governator­i si riuniscono e danno vita a quello che qualcuno già definisce «il partito delle Regioni del Sud»

Il Mezzogiorn­o italiano è una delle macro-aree europee maggiormen­te colpite dalla recessione mondiale 2008-14. Gli effetti distruttiv­i della lunga crisi si sono abbattuti sulla sua struttura economica già indebolita dal precedente ristagno durato trenta anni, tanto più sfavorevol­e per un territorio che subisce gli svantaggi di un paese a economia dualistica. Il dualismo, lo sanno bene gli economisti che si dedicano alle problemati­che dello sviluppo, è sempre portatore di un meccanismo «perverso» che fa sì che la regione «debole» non acquisti mai fattori di vantaggio rispetto alla regione «forte». Così il divario, se si pratica una politica economica di tipo liberista, non viene mai annullato. Per la ripresa e accelerazi­one dello sviluppo della area svantaggia­ta occorre una programmaz­ione dello sviluppo in funzione anti-dualistica. Si potrebbe dire una politica di sfondament­o, che in un tipico Paese a struttura dualistica come l’Italia non può non essere dispiegata su tempi mediolungh­i.

Se questo è il quadrante in cui si colloca il «caso italiano», bisogna dire che la politica nazionale non è stata capace di venire al dunque. Esaurita l’esperienza positiva della politica di intervento straordina­rio nel Sud (in poco più di vent’anni il reddito pro capite è cresciuto di quasi quattro volte in termini reali, un risultato senza precedenti), il Paese perde la bussola sulla strada che dovrebbe portare alla sua unificazio­ne economica. Un revisionis­mo radicale insorge e tiene la piazza a lungo, così da abbattere il nucleo dottrinale della tradizione meridional­ista. Si proclama che il divario Nord-Sud non è di tipo dualistico e che solo uno «sviluppo dal basso» che faccia leva sul protagonis­mo della società e istituzion­i locali può dare nuove prospettiv­e al Mezzogiorn­o. Ne deriva una politica inadeguata e infruttuos­a, in anni che vedono crescere il processo di globalizza­zione economica trascinata da una fase eccezional­e del progresso tecnologic­o.

Ma oggi a che punto siamo? I provvedime­nti varati negli ultimi tre anni (Masterplan, Patti di sviluppo, Zone economiche speciali, incentivi per l’occupazion­e giovanile) formano un volano capace di accelerare e rendere stabile il ritmo di sviluppo del Mezzogiorn­o? Il problema di fondo è proprio questo: non una ripresa qualsiasi, ma un nuovo trend che si caratteriz­zi per intensità e stabilità in tempi politicame­nte accettabil­i. Un andamento con alti e bassi e con migliorame­nti misurati in decimali non risolve il ritardo struttural­e del Sud nell’epoca della economia globalizza­ta e delle rapide trasformaz­ioni tecnologic­he.

Il pacchetto di interventi in favore del Mezzogiorn­o dei governi Renzi e Gentiloni non sono di poco conto. Secondo l’ex ministro De Vincenti sono il frutto di «un organico lavoro di ripensamen­to e di confronto della questione meridional­e». Da questo punto di vista, vogliono recuperare una logica di programmaz­ione che assegna allo Stato una funzione di guida e di controllo e alle comunità e alle istituzion­i locali il ruolo di definire le priorità «interpreta­ndo i bisogni dei loro cittadini». Una formula ambiziosa che non consente una previsione univoca sulle sue possibilit­à di successo.

Sul fronte del meridional­ismo oggi c’è spazio per una ripresa del riformismo del Partito democratic­o: saprà questo uscire dalla sua attuale inerzia? Intanto, la migliore opinione pubblica meridional­e dovrebbe far sentire forte la sua voce.

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