Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Addio a Racinaro, patì il carcere ingiusto
L’ex rettore dell’ateneo di Salerno fu anche consigliere regionale. Aveva 70 anni
«La giustizia spesso si rovescia nel suo contrario» amava ripetere citando il suo filosofo preferito, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, ai cui insegnamenti si era formato e del quale è stato tra i massimi studiosi. La stessa giustizia «rivoltata» ha rappresentato per lui un vero e proprio incubo dal quale non è mai più venuto fuori. L’odissea giudiziaria di Roberto Racinaro, ex rettore dell’Università degli Studi di Salerno e docente di Filosofia teoretica, Storia della Filosofia e Filosofia politica scomparso ieri all’età di 70 anni, ha molti punti in comune con quella vissuta da Enzo Tortora che iniziava esattamente 35 anni fa. Entrambi hanno vissuto l’onta delle clamorose manette, dei provvedimenti restrittivi in carcere di massima sicurezza e della riabilitazione totale giunta però troppo tardi, quando ormai il fisico aveva già cominciato a dare segnali di cedimento.
Racinaro aveva 47 anni e da cinque era il più giovane rettore d’Italia, al vertice dell’ateneo salernitano, (che aveva guidato nel trasferimento bello ma difficile nella Valle dell’Irno) quando il 2 giugno 1995 finì in carcere e sulle prime pagine dei giornali italiani e stranieri per un’inchiesta sugli appalti della mensa universitaria. Sulla sua testa pendevano diversi capi d’accusa, tra cui l’abuso d’ufficio, il falso ideologico e persino il concorso in associazione a delinquere. «Sul rettore gravano 12 titoli di reato, un fascicolo processuale di 20 volumi, soltanto sintetizzato nelle 130 pagine dell’ ordinanza. Io sono pagato per accertare reati e responsabilità. È quello che cerco di fare», disse allora il pm Filippo Spiezia a Giuseppe D’Avanzo di Repubblica.
Durante la sua detenzione nel carcere di massima sicurezza di Bellizzi Irpino Racinaro fu rieletto rettore per la seconda volta, un atto di incondizionata stima da parte della comunità accademica di cui però non volle abusare: ringraziò e si dimise per non travolgere l’ateneo con la sua inspiegabile disavventura. «Di fronte alla mia coscienza - scrisse all’allora ministro della Ricerca e dell’Università Giorgio Salvini - mi sento perfettamente a posto. Ciò però può bastare solo per me in quanto privato cittadino. La questione muta completamente se valutata dal punto di vista pubblico istituzionale. Non voglio dare l’impressione di uno scontro istituzionale».
Ventuno i giorni trascorsi in cella, durante i quali scrisse La giustizia virtuosa - Manualetto del detenuto dilettante, il suo primo atto d’accusa contro i giudici, e poi, rimesso in libertà dal Riesame, l’odissea continuò nelle aule di giustizia. Solo nel settembre 2011, dopo sedici interminabili anni di udienze, la sentenza di assoluzione in via definitiva: Racinaro è innocente. «Il mio processo - spiegò ad Andrea Manzi sul Corriere del Mezzogiorno - si reggeva su un foglio di carta, un documento di massima normalità, di quelli che s’inviano al ministero in risposta a domande formulate sugli spazi occupati negli atenei e sulle attività programmate, carte che passano da ufficio a ufficio e, poi, concludono il loro iter a Roma. Purtroppo su quel foglio di cui nulla sapevo c’era qualche imprecisione e, pur non essendo firmato da me, in calce allo scritto c’era il timbro del mio ufficio. Tanto è bastato affinché me ne attribuissero la paternità e mi accusassero di falso ideologico».
Nel 2005 Racinaro, minato nel fisico e nello spirito, entra in consiglio regionale, Bassolino governatore, in quota Margherita, e due anni dopo è coautore di un pamphlet Sul partito democratico con Massimo Cacciari, Biagio de Giovanni, Giuseppe Galasso, Michele Salvati e Pietro Scoppola. In cui scrive, tra l’altro, che un partito non può fare a meno «di disciplina, di apparati, di funzionari. Di capi. Il resto è chiacchiera». Qualche anno dopo dirà: «Sono un inguaribile ottimista, continuo a credere nella politica nonostante gli spettacoli poco edificanti degli ultimi tempi». Nella giustizia invece forse ha finito completamente di credere quando gli è stata negata l’indennità per ingiusta detenzione. «Docente, uomo di governo e rettore, ha contribuito alla trasformazione dell’ateneo in una grande università di livello nazionale», così lo ricorda il rettore dell’Università di Salerno, Aurelio Tommasetti. I funerali questa mattina alle 10.30 nella chiesa dei Salesiani a Salerno.