Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Nel carcere di Poggioreale L’«inferno» dell’Avellino, padiglione con celle blindate Solo il boss può scegliere letto e pranzare a tavola
NAPOLI Al padiglione “Avellino” del carcere di Poggioreale quando la mattina ci si sveglia e si guarda qualcuno negli occhi occorre stare sempre molto attenti. Lo sguardo fiero lo si può mostrare solo ai detenuti delle celle accanto, perché certamente sono dello stesso clan. Lì, nel «girone» dell’Alta sorveglianza, funziona proprio in questo modo, valgono le regole della strada. Uomini dello stesso clan vengono sistemati nelle stesse celle o comunque vicinissimi, uno accanto all’altro. I dirimpettai sono gli alleati, anche se di quartieri diversi o regioni diverse. Non necessariamente in affari in comune, l’importante è che non siano nemici, che non ci siano conti in sospeso tra gli uni e gli altri. Quelli devono necessariamente stare in un piano differente.
La regola principale è evitare tensioni, risse e contatti. Ma gli equilibri si sa, cambiano in fretta e quello che succede fuori, anche se con un po’ di ritardo, si ripercuote dentro le mura del penitenziario e così spesso detenuti di una cella passano in un’altra.
Nel carcere napoletano sono 200 i reclusi detti «As», che sta per Alta sorveglianza e si trovano nella parte ovest del carcere. Sono pregiudicati che hanno pene di associazione mafiosa da scontare o sono indagati per reati di camorra. All’Avellino non si scherza: lì ci sono i boss di Napoli e provincia che spesso sono in attesa di altre destinazioni o di essere trasferiti al 41 bis, in carceri-bunker. Eppure, nel posto che dovrebbe essere il più controllato di Poggioreale, sono stati sequestrati sei telefoni cellulari, uno di questo era di Gennaro De Tommaso alias «’a carogna». Entrare nell’«As» di Poggioreale equivale ad essere etichettato come uno buono. Questo è quanto si vocifera di cella in cella e non c’è un solo «personaggio» che ne varcando la soglia che non venga «studiato» dagli altri detenuti. L’Avellino negli anni Novanta era destinato agli internati, ai malati psichici ma è poi è stato ristrutturato e reso «blindato», a prova di cannonate
Uomini dello stesso clan sono sistemati sul medesimo piano per evitare tensioni
e destinato ai camorristi della città. Celle blindate dalle quali è impossibile ipotizzare di scappare. Tutte le stanza hanno finestre che affacciano all’interno del carcere e non danno all’esterno. Da una parte la «vista» è sul padiglione Milano e dall’altra su quello Firenze.
Un corridoio lungo illuminato da neon a luce bianca e celle a destra e sinistra, alcune molte vicine. Sono 12 per ogni piano. Dal piano terra, dove sono reclusi i ras del centro storico, fino al terzo piano dove ci sono i Contini. Al secondo alloggiano i «quartierani», con le paranze del rione Sanità. Hanno tutte un piccolo televisore collocato al centro della stanza. Massimo ci sono sei detenuti che dormono sulle cuccette. Chi entra per primo sceglie il posto, ma la regola si ribalta quando poi arriva il boss. Lui sceglie tutto, anche il mobiletto dove mettere i propri effetti personali. C’è il bagno con lo sciacquone, un piccolo cucinino per scaldare e preparare le vivande. Al centro c’è un tavolo ma non tutti riescono a prendere posto. A turno c’è chi pranza e cena seduto sul letto. Le celle più nuove hanno anche le docce con acqua sempre troppo calda in estate e sempre troppo fredda in inverno. Due ore di passeggio al giorno, ma per piano e per celle «amiche». Si inizia dal piano terra, fino al terzo: sorvegliati a vista, i detenuti hanno il divieto assoluto di incontrare i cosiddetti «comuni», ovvero i reclusi con pene da scontare per reati da strada, per lo più spaccio e rapine.