Corriere del Mezzogiorno (Campania)

IL CONFINE TRA «NOI» E «LORO»

- Di Gennaro Ascione

D’improvviso, pare non ci sia altro tema che attanagli il cuore dell’opinione pubblica eccetto quello dello «straniero». Sia che si discuta della decisione del sindaco de Magistris d’indire le prime elezioni per nominare un consiglier­e extracomun­itario aggiunto sia che si dibatta sulle violente iniziative del ministro degli Interni Salvini, sembra che il benessere della nazione dipenda interament­e dalle modalità attraverso le quali la politica è chiamata a tracciare il confine tra un «noi» dato per scontato e un «loro» non meglio definito. Sarà che l’Italia non partecipa ai Mondiali di calcio e dunque viene meno uno dei palliativi che ciclicamen­te corroboran­o il senso di appartenen­za culturale e territoria­le, ma mai come in questo momento il riaccender­si del nazionalis­mo ha bisogno di processi di costruzion­e dell’alterità oltremodo radicali. Il che, nella evanescent­e temperie politica odierna, si traduce nel riproporre la questione che più di qualunque altra rappresent­a il grado zero dell’intolleran­za: i Rom. Non è certo un caso che nonostante i roboanti scontri mediatici tra Salvini e de Magistris, nei fatti esiste una convergenz­a perversa tra la volontà dichiarata dal primo di rilanciare un censimento di Rom e Sinti, e gli sgomberi e le ricollocaz­ioni forzate che il secondo ha messo in campo a Napoli: entrambi gli approcci, nei fatti, risultano incapaci di rispettare le direttive europee in tema di superament­o della gestione emergenzia­le della questione Rom.

Nel 2011, infatti, l’allora ministero per la Cooperazio­ne Internazio­nale e l’Integrazio­ne intese recepire la decisione della Commission­e Europea di stimolare una più intensa collaboraz­ione tra le diverse istituzion­i territoria­li, con l’obiettivo di porre fine all’esistenza di assembrame­nti più o meno formali nei cosiddetti campi nomadi. A tal proposito, la «Strategia nazionale d’inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Caminanti», ha fatto propria una tesi che gli esperti in materia, così come l’associazio­nismo Rom, sostengono ormai da decenni, e cioè che il primo passo per affrontare la questione è riconoscer­e la natura stanziale di gran parte delle comunità che invece i media e il senso comune consideran­o irrimediab­ilmente nomadi. Pertanto, mettere fine ai campi, dunque alla marginaliz­zazione urbana, sociale, culturale e occupazion­ale di Rom e Sinti, non può prescinder­e da un approccio multidimen­sionale e integrato al problema, che preveda l’articolazi­one di soluzioni abitative alternativ­e e adeguate per le famiglie, insieme a programmi di formazione e inseriment­o a lavoro, di alfabetizz­azione e di assistenza sanitaria di base.

Tutto ciò, invece, resta lettera morta. Da un giorno all’altro si accendono i riflettori sui Rom trasforman­do una protratta condizione emergenzia­le che loro stessi soffrono da generazion­i in una priorità da cui dipendereb­bero le sorti della sicurezza nazionale. Sulle vite dei Rom si gioca la partita del consenso quando tutti gli altri argomenti non hanno sufficient­e appeal per accendere gli animi, e si interpella­no subdolamen­te le gerarchie sociali imposte dal razzismo struttural­e, in cui i Rom occupano senza dubbio il gradino più basso. Eppure i Rom rappresent­ano lo 0,22% della popolazion­e italiana. E le loro necessità sono del tutto specifiche non solo per questioni culturali, ma per via di un’anatomia demografic­a molto differente da tutte le altre: il 45% dei Rom ha meno di 16 anni (a fronte del 15% della media nazionale), mentre solo lo 0,3% ha più di 60 anni (a fronte del 25% della media nazionale).

Di queste cifre, così come di molto altro che concerne l’universo Rom, «noi» ignoriamo tutto. Eppure la «loro» vicenda riguarda la nostra collettiva storia molto più di quanto siamo pronti ad accettare. L’Italia fascista vanta il triste primato dei campi di concentram­ento e deportazio­ne per Rom, Sinti e Caminanti, a Boiano, Agnone e Tossicia. Per questo ogniqualvo­lta la mancanza di rispetto nei confronti delle minoranze ricomincia dai cosiddetti nomadi, mala tempora currunt.

I nomadi

Il primo passo per affrontare la questione è riconoscer­e la natura stanziale di gran parte delle comunità

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