Corriere del Mezzogiorno (Campania)
L’emigrazione universitaria fa perdere tre miliardi al Sud
Rapporto Svimez: c’è una perdita di consumi pubblici e privati Bianchi: «Dopo la laurea quasi nessuno torna nel Mezzogiorno»
Non vi è soltanto il
NAPOLI drammatico esodo di giovani che dal Mezzogiorno sono costretti a trasferirsi nelle città settentrionali o all’estero per trovare lavoro: duecentomila laureati sono stati persi negli ultimi 15 anni, un’emorragia di saperi e risorse economiche, di capitale umano e investimenti familiari sostenuti per formare i propri figli e vederli andar via per sempre.
Ora anche l’emigrazione universitaria dal Sud al Nord traccia una traiettoria preoccupante, e non semplicemente per approdare a nuove esperienze formative. Già, perché il fenomeno interessa ormai uno studente su quattro. Nell’anno accademico 2016/2017 i meridionali iscritti negli atenei della penisola sono stati complessivamente 685 mila circa. Di questi il 25,6%, pari a 175 mila unità, studia al Centro-nord. La quota, invece, di giovani residenti nelle regioni del Centro-nord che frequenta un’università del Mezzogiorno è appena dell’1,9%, pari a 18 mila studenti. Ne deriva, quindi, un saldo migratorio netto universitario pari a circa 157 mila unità.
Lo studio della Svimez — l’associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno — ha calcolato, inoltre, che l’emigrazione studentesca provoca, in termini di impatto finanziario, una perdita complessiva annua di consumi pubblici e privati di circa 3 miliardi di euro. «E’ evidente che la perdita di una quota così rilevante di giovani ha, già di per sé, un effetto sfavorevole sull’offerta formativa delle università meridionali — spiega il direttore Svimez, Luca Bianchi —. Ben più gravi, tuttavia, sono le conseguenze sfavorevoli che derivano dalla circostanza che, alla fine del periodo di studio, la parte prevalente degli studenti emigrati non ritorna nelle regioni di origine, indebolendo le potenzialità di sviluppo dell’area attraverso il depauperamento del capitale umano».
In Campania — regione con la quota minore di ragazzi emigranti rispetto alle altre del Mezzogiorno — sono 206 mila 341 gli studenti iscritti all’Università, dei quali 29 mila 333 sono quelli che frequentano gli atenei del Centro nord (14,2%). I dati dello studio Svimez esaminano gli effetti economici di breve periodo dell’emigrazione universitaria. Per offrire un ulteriore termine di paragone si tenga presente che nello stesso anno accademico in tutte le università del Sud risultavano iscritti 509 mila studenti.
Il movimento migratorio per fini di studio ha interessato, quindi, circa il 30% dell’intera popolazione rimasta a studiare in atenei meridionali. Gli studenti emigrati rappresentano circa lo 0,7% della popolazione residente nelle aree del Mezzogiorno. E le regioni meridionali che si caratterizzano per i maggiori flussi in uscita in termini assoluti sono la Sicilia e la Puglia, con oltre 40.000 giovani che studiano al Nord. Mentre in termini di percentuale sul totale degli iscritti, i tassi migratori universitari più elevati riguardano le regioni più piccole del Sud — Basilicata e Molise con oltre il 40% — , la Puglia e la Calabria con il 32% circa e la Sicilia con il 27%.
Dall’elaborazione degli effetti economici, dovuti al trasferimento di 157 mila studenti, emerge che i minori costi sostenuti per i corsi di studio delle università meridionali è pari a circa un miliardo di euro. Si è poi proceduto a stimare il valore complessivo dei consumi, alimentati dagli studenti fuori sede, pari a circa 2 miliardi di euro.
«L’emigrazione studentesca — afferma Svimez — causa, dunque, in termini di impatto finanziario, una perdita complessiva annua di consumi pubblici e privati di circa 3 miliardi» .
A partire da queste cifre l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno fa un ulteriore passo in avanti: nel 2017 il reddito aggregato meridionale è risultato inferiore di circa 0,4 punti percentuali a quello che si sarebbe avuto trattenendo sul territorio i 157 mila studenti emigrati».