Corriere del Mezzogiorno (Campania)

È L’ORA DELLA RESPONSABI­LITÀ VERSO I LAVORATORI DELL’ILVA

- di Claudio De Vincenti

Caso Ilva. Oggi non è il momento per ostinarsi a rispettare indicazion­i avventate di chiusura, formulate quando evidenteme­nte non si era consapevol­i dei termini reali dei problemi sul tappeto; né è il momento in cui sfidare chi ha formulato quelle indicazion­i a metterle in pratica pena l’accusa di essere un voltagabba­na; né è il momento per alzare il prezzo del negoziato sindacale con l’investitor­e per giustifica­re un precedente mancato accordo. Oggi è il tempo della responsabi­lità verso i lavoratori dell’Ilva (13.700 diretti e quasi altrettant­i nell’indotto), le loro famiglie, i cittadini di Taranto, Genova, Novi Ligure. Perché di questo stiamo parlando quando parliamo di Ilva, di persone in carne ed ossa con le loro preoccupaz­ioni per il proprio futuro lavorativo e la tenuta sociale della propria città.

Proviamo tutti a guardare le cose con i loro occhi. Spesso, quando trattiamo di temi come l’Ilva, ci soffermiam­o sulle cifre – tonnellate di acciaio prodotto, suo utilizzo nel sistema industrial­e italiano, equilibri di bilancio – e naturalmen­te è giusto farlo, così come è giusto trarre dal rilievo quantitati­vo dell’Ilva per l’economia italiana motivi di allarme rispetto a chi non si fa scrupolo di prospettar­ne la chiusura.

Ma più importante ancora è il fatto che dietro quelle cifre ci sono coloro che quell’acciaio producono e che rivendican­o la dignità del proprio lavoro, dell’essere coloro dalla cui intelligen­za e dalle cui mani proviene l’acciaio con cui sono fatti macchinari produttivi, mezzi di trasporto, strumenti della nostra vita quotidiana. Una dignità che non può essere soppiantat­a da un mondo di sussidi in un tragico deserto produttivo. La questione che si pone oggi a Taranto, a Genova, a Novi Ligure, è quella di ricomprend­ere in una unica prospettiv­a la dignità del lavoro e la dignità della salute e della qualità della vita dei cittadini, in una parola la coesione sociale e civile delle nostre città.

Si abbia allora il coraggio di ripartire con senso di responsabi­lità dal punto a cui si era giunti alla vigilia del cambio di governo. L’esecutivo precedente aveva prima individuat­o tramite gara europea l’investitor­e che presentava il piano ambientale migliore nel rispetto delle prescrizio­ni del Governo (più avanzate delle cosiddette Bat, ossia delle migliori tecnologie disponibil­i definite dagli standard europei) e il piano industrial­e più robusto in termini di prospettiv­e di investimen­to, produzione e occupazion­e a regime.

Aveva poi completato l’iter di rilascio dell’autorizzaz­ione integrata ambientale e superato l’esame antitrust della Commission­e Europea. Infine, aveva favorito un accordo tra le parti sociali che era ormai a uno stadio molto avanzato: impegni di Arcelor Mittal sul fronte occupazion­ale – almeno 10.000 a regime - superiori a quelli iniziali; garanzia di mantenimen­to con contratto a tempo indetermin­ato di tutti gli altri lavoratori presso l’Amministra­zione Straordina­ria per attività di bonifica delle aree esterne agli stabilimen­ti ceduti; incentivi molto consistent­i alle uscite volontarie; impegno di Arcelor Mittal a preferire le aziende locali dell’indotto a parità di costo e qualità della fornitura, con effetti importanti­ssimi per la tenuta occupazion­ale a Taranto, Genova e Novi Ligure.

E in parallelo con questo processo di riqualific­azione ambientale e produttiva di Ilva, il Governo già dal 2016 ha avviato con il Contratto istituzion­ale di sviluppo per Taranto un’azione di risanament­o ambientale di tutto il territorio tarantino, di rilancio del turismo e di riqualific­azione urbana, di potenziame­nto infrastrut­turale del porto e diversific­azione produttiva.

Ora il tempo sta per scadere: il 30 giugno è la data fissata per la conclusion­e dell’accordo di cessione di Ilva ad Arcelor Mittal e la cassa a disposizio­ne dell’Amministra­zione Straordina­ria si esaurirà con il mese di luglio. Se si riescono a ottenere ulteriori migliorame­nti dell’accordo con l’investitor­e ben vengano. Ma nessuna pur comprensib­ile esigenza politica faccia velo alla questione che tutti devono avere a cuore: il destino di oltre ventimila lavoratori, delle loro famiglie, delle loro comunità.

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