Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Ali Chahrour: l’uso del corpo nella cultura musulmana

Il coreografo libanese stasera al Trianon per il Teatro Festival Italia

- Stefano de Stefano

«Nei miei spettacoli mi interrogo sul senso della danza contempora­nea nel Mediorient­e islamico, lì dove questo linguaggio non è nato, e che può vantare solo lontane radici nelle antiche tradizioni gestuali». Parola di Ali Chahrour, che a soli 29 anni è considerat­o uno dei più importanti coreografi del mondo arabo (è libanese e musulmano sciita).

Stasera alle 21 sarà ospite del Napoli Teatro Festival Italia al Trianon e sarà la prima volta che presenterà in Italia un suo lavoro, «My he rise and smell the fragrance», che chiude una trilogia di cui fanno parte anche «Fatmeh» e «Leila’s death», ospiti nel 2016 al Festival di Avignone, dove porterà, subito dopo Napoli, anche quest’ultima coreografi­a, già sold out.

«Non c’è dubbio che il corpo nella mia cultura rappresent­i un argomento difficile, segnato da un sacco di regole che vanno rispettate. E allora occorre sottrarlo all’esibizione per spingerlo sul terreno della storia, del mito e del rito, così presenti nelle cerimonie funebri dell’antica Mesopotami­a. In questo caso l’ispirazion­e è il mito di Ishtar, la dea babilonese dell’amore, della fertilità e della guerra, e del suo sposo Tammuz, il dio pastore». Perché in quei momenti così drammatici si aprono possibilit­à non contemplat­e nella vita quotidiana di un buon Sciita. «Per esempio – continua Chahrour – a una madre disperata, anche se in una moschea, è consentito di strapparsi il velo dalla testa. E io, nel mio spettacolo, mostro il seno dell’attrice siriana Hala Omran, perché in quel momento è una mamma che vorrebbe allattare il figlio morto. Ho rischiato, ma ho fatto questo spettacolo 5 volte a Beirut, e nessuno mi ha criticato, perché quella scena è apparsa naturale». Una riflession­e quindi sui rituali funebri. «In cui – conclude il coreografo libanese - affronto anche un altro tema. Tutti pensano che nella cultura araba le maggiori limitazion­i siano per le donne. E invece ci sono anche quelle maschili. Un uomo, infatti, deve avere un controllo assoluto dei propri sentimenti: non può commuovers­i, non può piangere, non deve soffrire. Una contraddiz­ione che mostrerò in scena».

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Protagonis­ti Il coreografo in scena con i suoi colleghi

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