Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Via alla costituente di una nuova formazione politica
Ho memoria di una sinistra democratica napoletana capace di riflettere sul suo futuro e di affrontare situazioni di estrema difficoltà. Di reagire alle sconfitte politiche. Trovo inaudito che si lasci andare alla malora il Pd nella terza città d’Italia senza alcuna reazione, né seria riflessione per intendere le cause delle sconfitte e individuare misure per risalire la china. Un tempo, dinanzi alla chiusura dei gruppi dirigenti, c’era la iniziativa di quella che si chiamava «la base».
Si giungeva fino agli autoconvocati, militanti dei circoli e delle sezioni che reagivano alla afasia dei dirigenti e imponevano la discussione critica e i cambiamenti necessari.
Pur nella inevitabile confusione erano manifestazioni di vitalità di un organismo che non si rassegnava alle sconfitte e al ridimensionamento politico ed elettorale. Perché oggi tutto tace? Non ci sono più militanti? Cosa è accaduto? Provo a dirlo.
1) Gli iscritti, un tempo protagonisti della vita del partito, sono stati sostituiti da una sorta di «anime morte»: l’unico compito loro assegnato è sostenere le ambizioni di un capo corrente e i suoi sogni di gloria che si risolvono quasi sempre nella raccolta di preferenze nelle contese elettorali. Il numero di coloro che aderiscono al Pd senza vincoli di appartenenza a gruppi, cordate e camarille si è venuto riducendo sempre di più.
2) Ho l’impressione che i micronotabili che hanno occupato il partito, considerano improbabile la ripresa elettorale del Pd a Napoli. Non ne fanno tuttavia un dramma. Rinnovamento, costituente, rifondazione del Pd per alcuni di loro sono chiacchiere. Quello che conta è gestire quanto è rimasto, poi si vedrà.
3) Dal «gruppo dirigente» nazionale del partito non è venuta una sola parola seria sulla situazione di un Pd che a Napoli ha ottenuto nel voto di marzo cinque punti in meno rispetto al già mediocre risultato nazionale (per tacere di quanto accaduto nella tornata amministrativa). L’unico gesto è stato riunire le correnti locali legittimando, in un difficile momento, la disarticolazione del partito in gruppi e gruppetti.
Sbaglio? Perdinci, lo si dica! Ma se così stanno le cose non credo abbia gran senso evocare lo svolgimento del congresso. A Napoli si risolverebbe in una conta tra resti dei vari gruppi. Non hanno trovato soluzione le controversie (non di linea politica, per carità) insorte nel precedente congresso. Figuriamoci farne un altro!
E’ il caso di dirsi alcune verità. Nel Mezzogiorno si gioca una partita decisiva nel confronto con il populismo giunto al governo del Paese. L’obiettivo della Lega (lo ha affermato con determinazione e chiarezza il presidente della giunta regionale veneta) è trattenere nel Veneto e in Lombardia la maggior parte possibile del gettito fiscale.
Dopo il successo nel referendum per l’autonomia emerge la vera questione: più risorse e residui fiscali alle due regioni. Questo determinerebbe una minore disponibilità di risorse per il funzionamento del sistema scolastico e i servizi sociali nel mezzogiorno. Chi si batte contro questo rischio? Il Pd per le condizioni in cui versa nel Sud non è in grado di condurre una battaglia di tale complessità. Non solo. In questi anni ha sottovalutato la questione delle città nel Mezzogiorno e in particolare la enorme realtà napoletana. Sono stati ignorati tutti i segnali di allarme.
Alle amministrative del 2016 il Pd giunse in città all’11%: non si svolse una sola discussione per tentare di capire. Si è lasciato il partito a Napoli senza direzione per un anno. Ove mai emergesse, alla prova delle nuove responsabilità, la inconsistenza di Di Maio e compagnia bella (sta già accadendo) gli elettori disponibili a lasciare Cinque Stelle non tornerebbero ad un Pd che a Napoli si presentasse con i volti di sempre e mostrasse la incapacità di una radicale svolta politica e organizzativa.
Che fare? Va avviato il processo costituente di una nuova formazione politica. Le forze sane che stanno nel Pd avrebbero un ruolo ricollocandosi in un tale processo. Andrebbe costituito un comitato promotore per guidare l’impresa costituente. Nei quartieri, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle strade, andrebbero costituiti comitati per la costituente. Un passaggio importante dovrebbe essere la messa a punto di una carta culturale e programmatica da sottoporre ad una discussione di massa. Una carta di principi e valori su cui fondare la nuova forza politica.
Una esperienza dal basso per ridare linfa ed energia alla sinistra democratica e di governo della città metropolitana di Napoli. Rivolgersi all’universo dell’impegno volontario, alla militanza di forze di ispirazione cattolica che operano nei quartieri della città, al mondo sindacale e del lavoro. Una nuova formazione politica consapevole di dover avviare una «lunga marcia in mezzo alle intemperie». Il gruppo dirigente nazionale del Pd (ove mai esistesse) dovrebbe incoraggiare un tale processo.
E’ l’unica prospettiva realistica. Non servono pannicelli caldi. Chi intende costruire una alternativa democratica alla demagogia e al populismo in una delle più importanti città del paese, dovrebbe discutere con animo aperto per arricchire la impegnativa proposta della costituente. E battersi per realizzarla. Valga per noi quanto scrisse Hannah Arendt nella prefazione ad una raccolta di saggi del lontano 1968: «Anche nei tempi più bui abbiamo diritto di attenderci una qualche illuminazione».