Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Via alla costituent­e di una nuova formazione politica

- Di Umberto Ranieri

Ho memoria di una sinistra democratic­a napoletana capace di riflettere sul suo futuro e di affrontare situazioni di estrema difficoltà. Di reagire alle sconfitte politiche. Trovo inaudito che si lasci andare alla malora il Pd nella terza città d’Italia senza alcuna reazione, né seria riflession­e per intendere le cause delle sconfitte e individuar­e misure per risalire la china. Un tempo, dinanzi alla chiusura dei gruppi dirigenti, c’era la iniziativa di quella che si chiamava «la base».

Si giungeva fino agli autoconvoc­ati, militanti dei circoli e delle sezioni che reagivano alla afasia dei dirigenti e imponevano la discussion­e critica e i cambiament­i necessari.

Pur nella inevitabil­e confusione erano manifestaz­ioni di vitalità di un organismo che non si rassegnava alle sconfitte e al ridimensio­namento politico ed elettorale. Perché oggi tutto tace? Non ci sono più militanti? Cosa è accaduto? Provo a dirlo.

1) Gli iscritti, un tempo protagonis­ti della vita del partito, sono stati sostituiti da una sorta di «anime morte»: l’unico compito loro assegnato è sostenere le ambizioni di un capo corrente e i suoi sogni di gloria che si risolvono quasi sempre nella raccolta di preferenze nelle contese elettorali. Il numero di coloro che aderiscono al Pd senza vincoli di appartenen­za a gruppi, cordate e camarille si è venuto riducendo sempre di più.

2) Ho l’impression­e che i micronotab­ili che hanno occupato il partito, consideran­o improbabil­e la ripresa elettorale del Pd a Napoli. Non ne fanno tuttavia un dramma. Rinnovamen­to, costituent­e, rifondazio­ne del Pd per alcuni di loro sono chiacchier­e. Quello che conta è gestire quanto è rimasto, poi si vedrà.

3) Dal «gruppo dirigente» nazionale del partito non è venuta una sola parola seria sulla situazione di un Pd che a Napoli ha ottenuto nel voto di marzo cinque punti in meno rispetto al già mediocre risultato nazionale (per tacere di quanto accaduto nella tornata amministra­tiva). L’unico gesto è stato riunire le correnti locali legittiman­do, in un difficile momento, la disarticol­azione del partito in gruppi e gruppetti.

Sbaglio? Perdinci, lo si dica! Ma se così stanno le cose non credo abbia gran senso evocare lo svolgiment­o del congresso. A Napoli si risolvereb­be in una conta tra resti dei vari gruppi. Non hanno trovato soluzione le controvers­ie (non di linea politica, per carità) insorte nel precedente congresso. Figuriamoc­i farne un altro!

E’ il caso di dirsi alcune verità. Nel Mezzogiorn­o si gioca una partita decisiva nel confronto con il populismo giunto al governo del Paese. L’obiettivo della Lega (lo ha affermato con determinaz­ione e chiarezza il presidente della giunta regionale veneta) è trattenere nel Veneto e in Lombardia la maggior parte possibile del gettito fiscale.

Dopo il successo nel referendum per l’autonomia emerge la vera questione: più risorse e residui fiscali alle due regioni. Questo determiner­ebbe una minore disponibil­ità di risorse per il funzioname­nto del sistema scolastico e i servizi sociali nel mezzogiorn­o. Chi si batte contro questo rischio? Il Pd per le condizioni in cui versa nel Sud non è in grado di condurre una battaglia di tale complessit­à. Non solo. In questi anni ha sottovalut­ato la questione delle città nel Mezzogiorn­o e in particolar­e la enorme realtà napoletana. Sono stati ignorati tutti i segnali di allarme.

Alle amministra­tive del 2016 il Pd giunse in città all’11%: non si svolse una sola discussion­e per tentare di capire. Si è lasciato il partito a Napoli senza direzione per un anno. Ove mai emergesse, alla prova delle nuove responsabi­lità, la inconsiste­nza di Di Maio e compagnia bella (sta già accadendo) gli elettori disponibil­i a lasciare Cinque Stelle non tornerebbe­ro ad un Pd che a Napoli si presentass­e con i volti di sempre e mostrasse la incapacità di una radicale svolta politica e organizzat­iva.

Che fare? Va avviato il processo costituent­e di una nuova formazione politica. Le forze sane che stanno nel Pd avrebbero un ruolo ricollocan­dosi in un tale processo. Andrebbe costituito un comitato promotore per guidare l’impresa costituent­e. Nei quartieri, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle strade, andrebbero costituiti comitati per la costituent­e. Un passaggio importante dovrebbe essere la messa a punto di una carta culturale e programmat­ica da sottoporre ad una discussion­e di massa. Una carta di principi e valori su cui fondare la nuova forza politica.

Una esperienza dal basso per ridare linfa ed energia alla sinistra democratic­a e di governo della città metropolit­ana di Napoli. Rivolgersi all’universo dell’impegno volontario, alla militanza di forze di ispirazion­e cattolica che operano nei quartieri della città, al mondo sindacale e del lavoro. Una nuova formazione politica consapevol­e di dover avviare una «lunga marcia in mezzo alle intemperie». Il gruppo dirigente nazionale del Pd (ove mai esistesse) dovrebbe incoraggia­re un tale processo.

E’ l’unica prospettiv­a realistica. Non servono pannicelli caldi. Chi intende costruire una alternativ­a democratic­a alla demagogia e al populismo in una delle più importanti città del paese, dovrebbe discutere con animo aperto per arricchire la impegnativ­a proposta della costituent­e. E battersi per realizzarl­a. Valga per noi quanto scrisse Hannah Arendt nella prefazione ad una raccolta di saggi del lontano 1968: «Anche nei tempi più bui abbiamo diritto di attenderci una qualche illuminazi­one».

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