Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Terrae Motus, la Reggia e i lasciti culturali
C’è un caso di scuola, tra i tanti che testimoniano come vengano ben rispettati taluni lasciti culturali. Si tratta della Fondazione Burri. Quando si trattò di dar seguito alle indicazioni del Maestro Alberto Burri con il lascito (in vita) alla «sua» Città di Castello, la Cassa di Risparmio di Città di Castello comperò Palazzo Albizzini.
Un gioiello del XV secolo, che fu restaurato e consegnato in comodato gratuito novantanovennale alla Fondazione Burri per esporre, nella sequenza da lui indicata, nel Museo Burri le 130 opere prodotte dal 1948 al 1989 (tra Catrami, Muffe, Gobbi, Sacchi, Legni, Ferri, Combustioni, Cretti e Cellotex).
Con la morte del Maestro nel 1995 nulla è cambiato, anzi la vita della Fondazione e del Museo è andata avanti, per esempio con le ricche manifestazioni del 2015 per il centenario della nascita dell’artista.
È solo un esempio ma dimostra bene come la morte non cancelli le volontà di chi affida un bene a una istituzione culturale. A Roma c’è addirittura il clamoroso caso dell’ospedale san Giacomo, colosso rinascimentale nel cuore di via del Corso, dismesso come centro di cura dalla Regione Lazio nel 2008. Si parlò a lungo di vendita dell’immobile ai privati, si sussurrò di trattative con grandi gruppi per la realizzazione di un albergo a chissà quante stelle. Poi arrivarono gli eredi contemporanei del cardinal Salviati, che donò il complesso alla città di Roma alla fine del ‘500 vincolando la donazione alla destinazione d’uso di ospedale. La duchessa Olivia Salviati riuscì a bloccare ogni speculazione. E ora l’ospedale è in attesa di una nuova destinazione comunque sanitaria: ma non diventerà mai un albergo.
Tutti materiali ottimi per le (amare)
riflessioni di questi giorni intorno al gioiello di Terrae Motus lasciato da Lucio Amelio nel 1993 alla Reggia di Caserta, un bene che Vincenzo Trione su queste pagine ha giustamente definito «la più ampia e importante collezione d’arte contemporanea “a tema” del secondo Novecento»,
rapidamente allestita da Mauro Felicori, direttore della Reggia, sempre come scrive Trione, «negli inadeguati appartamenti occupati fino a poco prima dall’areonautica e dalla scuola della pubblica amministrazione». Il risultato drammatico, lo sanno bene i nostri
lettori, è il trafugamento di parti dell’installazione «Ex voto» di Christian Boltanski.
Ma era questa la volontà di Amelio? Aveva concepito così il suo lascito? Avrebbe accettato tale collocazione, priva di qualsiasi controllo a distanza con le telecamere? E avrebbe dato via libera a quella che Felicori ha sempre definito non un allestimento stabile ma un cantiere-progetto? Domande legittime che non sono figlie dell’amor di polemica per la polemica ma dalla preoccupazione che un bene così significativo e importante non solo per la storia dell’arte contemporanea del Sud ma anche come documento di una grande tragedia, il Terremoto del 1980, possa subire altri oltraggi e svilirsi.
Anna Amelio, sorella di Lucio, chiede urgenti chiarimenti e garanzie. E forse pensa al cardinale Salviati, che ha vinto più di quattrocento anni dopo sui piani sanitari della Regione Lazio.