Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Vesuvio, a un anno dai roghi i sentieri restano impraticabili
I residenti: «Ci dicono che la montagna è sotto controllo, ma sappiamo che non è così». Telecamere mai entrate in funzione
Un anno dopo lo spavento terribile provocato dall’incendio (5 luglio) il popolo del Vesuvio fa risentire la sua voce. Di domenica, nel giorno consacrato alla festa e al picnic nel bosco. La paura, qui a Ottaviano, a Resina, a Terzigno, non è mai passata. E per esorcizzarla si scruta il cielo come a interrogarlo. «Ci dormiamo la notte con la paura, è una presenza costante. Dicono che la situazione è sotto controllo, ma noi che conosciamo la montagna calda sappiamo che non è così», dice l’avvocato Francesco Vitobello, e tutti la pensano allo stesso modo perché c’è sfiducia totale nella capacità di gestire l’emergenza. Non basta vedere all’opera qualche pompiere in più sui sentieri abbandonati e divenuti pericolosi: per dare tranquillità ci vorrebbe ben altro. C’è poi la novità delle telecamere installate nei punti nevralgici e costate 230mila euro, ma sono ancora spente e si teme che non potranno funzionare di notte. La fibrillazione è altissima. Cominciamo dallo scenario.
Trecentocinquantamila abitanti ammassati in tredici Comuni che non hanno mai dialogato. Un abusivismo dilagante che negli anni passati ha intasato perfino le vie di fuga, e, a chiudere, la sequenza criminale degli incendi. Al centro il gigantesco mammone spelacchiato che, immaginiamo, ripensa con nostalgia alle visite che gli rendeva il giovane Goethe che dalla locanda Mariconi nell’inferno del porto, al Largo del Castello, ove viveva, noleggiava una carrozza fino a Resina da dove a dorso di mulo saliva alla capanna dell’eremita e, infine, si arrampicava fin su al cratere appeso alla cintura della guida. Ora tutto è cambiato e il turista arrampicatore passeggia sfiorando discariche a cielo aperto, nauseabonde e degne della bidonville di padre Alex Zanotelli a Korogocho, periferia di Nairobi.
I Comuni sostengono che la rimozione tocca al Parco, che ribatte: «La competenza è loro». La Città metropolitana è in altre faccende affaccendata. «Se la prendono sempre con noi», dice il giovane presidente del Parco Agostino Casillo, portatore di un cognome politicamente impegnativo da queste parti, «ma qui sbagliamo tutti, anche i cittadini. Devo ammettere, però, che non riusciamo a fare squadra». Qualche lavoretto è stato fatto a valle, ma non a monte dove sono più urgenti, perché lì si trovano i punti di innesco. Il risultato è che i nove sentieri sarebbero, di fatto, impraticabili perché non sicuri, tranne il quinto che porta su al cratere, ma si fa finta di niente. L’agricoltura e il turismo, che doveva mettere in piedi un grande e ospitale albergo diffuso, non fanno più da traino. Nel regno dell’albicocca si vendono frutti lucani e calabresi. Roba mai vista. Tranne qualche ettaro di pellecchiella (le albicocche con il pizzo, dolcissime) sono scomparse le etichette che hanno fatto storia grazie anche ai nomi imposti dalla immaginazione popolare: boccuccia, vitillo, cafona, Vicienz’ e Maria. «È colpa degli agricoltori, si difende il presidente dl Parco, i pomodorini del piennolo e il vino Lacrima Christi, invece, vanno a gonfie vele perché hanno la Dop».
Io do la colpa a te, tu dai la colpa a me…. Gli incendi: il tasto più dolente impastato di incuria, di corruzione e di camorra. «Ai miei tempi, denuncia il professore Ugo Leone presidente del Parco per dieci anni, utilizzavamo squadrette di Lsu e l’espediente funzionò». Una ricognizione, assai parziale, sulle antiche vie, infine, dà ragione al pessimismo.
«L’abbandono è totale, osservano Francesco Vitobello, appassionato arrampicatore e Umberto Saetta, guida di lungo corso, l’assenza di manutenzione provoca danni irreparabili. La segnaletica si legge a fatica, sono saltate le palificazioni a scala. Ognuno fa quello che vuole e c’è perfino chi si esibisce con la moto da cross sui sentieri. Per assurdo, il sito meglio organizzato è il cratere con la biglietteria e il bar». Cioè il business. Che è molto ricco grazie ai 700mila «clienti» annuali del Vesuvio.