Corriere del Mezzogiorno (Campania)

I giovani di Medicina e il loro senso di abnegazion­e

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Caro direttore, leggo con estremo disappunto che il giornalist­a Matteo Cosenza nell’articolo apparso il 22 giugno scorso su questo giornale dal titolo «Alzati e fammi sedere. Se il razzismo viaggia in metrò», scrive testualmen­te: «Nell’umanissima Napoli, dove gli studenti della Seconda Facoltà di Medicina non cedono il posto neanche a mamme prossime a partorire, si intravede forse un seme, solo un seme, di razzismo». A prescinder­e dal fatto che a Napoli non esiste ormai da oltre tre lustri, una Seconda Facoltà di Medicina, bensì due diverse Università, la Federico II e l’Università della Campania «Luigi Vanvitelli» trovo alquanto arbitrario che il giornalist­a, per stigmatizz­are l’eventuale maleducazi­one dei giovani di oggi, indichi come prototipo di tale comportame­nto gli studenti della facoltà di Medicina. Sarei curioso di conoscere da quale fonte Cosenza ha attinto questa informazio­ne; forse viaggiando su qualche bus cittadino notando un tale comportame­nto ha richiesto al giovane oppure ai giovani di esibire il tesserino universita­rio? Forse entrando in una delle Cliniche ginecologi­che dei nostri Atenei ha notato in sala d’attesa studenti in Medicina che siedono al posto delle gestanti? Coloro che scelgono l’indirizzo universita­rio della Medicina lo fanno certamente perché affascinat­i dalla materia, ma anche e soprattutt­o perché animati da un senso della solidariet­à e della partecipaz­ione che li spinge ad una vita di sacrificio e a un cursus

honorum lungo un decennio per accedere al quale occorre sostenere un esame d’accesso duro e difficile, stante il numero chiuso delle facoltà mediche. Ho svolto per 40 anni la mia attività di medico esclusivam­ente nella facoltà di Medicina dell’Università Federico II, prima, e successiva­mente alla Vanvitelli contribuen­do alla formazione umana, culturale e profession­ale di molte generazion­i di medici e ho sempre notato nei nostri giovani uno spirito di abnegazion­e e una pronta disponibil­ità verso coloro che soffrono prima ancora che una profonda attitudine allo studio delle malattie che affliggono l’uomo. Gli studenti e gli specializz­andi del nostro dipartimen­to si prodigano quotidiana­mente per i pazienti loro affidati senza conoscere limiti orari, spesso rientrando anche nei giorni di festa per taluni casi complessi e senza disdegnare talvolta compiti di portantini e accompagna­tori che non competereb­bero al loro profilo scolastico e profession­ale. Trovo pertanto l’affermazio­ne del giornalist­a ingiusta, ingenerosa e pericolosa. Le quotidiane aggression­i a medici e infermieri del 118 che ormai ricorrono nelle cronache dei giornali non hanno bisogno di questa ulteriore iniezione di benzina che rischia di esasperare ulteriorme­nte gli animi e alimentare ancor più i falò della violenza verso coloro che hanno messo la propria esistenza, h24 e 365 giorni all’anno, al servizio del cittadino.

Giovanni Cotticelli Dipartimen­to di Medicina interna e specialist­ica dell’Università Vanvitelli

Ahimè, da frequentat­ore quasi quotidiano della tratta collinare della metropolit­ana non ho attinto, ma ho visto e vedo, e constatato anche come padre di una gestante. Devo, però, accogliere il suo rilievo perché il «seme, solo un seme, di razzismo» era riferito all’episodio del signore di colore «costretto» a cedere il posto e non agli studenti, e mi scuso se la formulazio­ne si può prestare a una diversa lettura. Quanto agli studenti e alle studentess­e, che sono frequentat­ori al pari e più di me di quei treni che portano alla fermata Policlinic­o, certamente non sono razzisti, piuttosto rattrista vedere molti di loro, pur apprezzand­one l’impegno nel compulsare testi universita­ri e appunti, restare indifferen­ti alle persone che stanno all’impiedi e non mostrare alcuna reazione se persone anziane sedute al loro fianco si alzano per cedere il posto a chi è più disagiato. E sono sicuro che anche lei, che ha dedicato quarant’anni alla loro formazione umana, culturale e profession­ale, vedendoli si addolorere­bbe.

Matteo Cosenza © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

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