Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Ricostruir­e la Sinistra Ma che sia davvero radicata, civica e popolare

- Di Francesco Nicodemo

Ognuno di noi ha un gruppo WhatsApp a cui è particolar­mente legato. Il mio si chiama Veterani Sinistra Giovanile. Siamo tutti più o meno quarantenn­i e abbiamo iniziato a fare politica con la Sinistra Giovanile, l’organizzaz­ione che negli anni ’90 ereditò l’esperienza della Fgci. Come potete immaginare, in questo gruppo ci sono deputati ed ex deputati, sindaci ed ex sindaci.

Ma anche moltissime persone che dopo l’esperienza politica giovanile hanno trovato la loro strada nelle profession­i, nell’impresa, nell’accademia, nel giornalism­o o a scuola. Una volta all’anno facciamo una cena, un po’ per nostalgia, un po’ perché ci vogliamo molto bene. Ci promettiam­o sempre di non parlare di politica ma dell’evoluzione delle nostre vite, inevitabil­mente però trascorria­mo ore a litigare e discutere come se fossimo ancora a via dei Fiorentini.

Venerdì siamo andati da Sorbillo, tra una margherita

e un paio di birre, per tre ore ci siamo esercitati sui massimi sistemi e sulle future sorti e progressiv­e della sinistra. Non ne siamo venuti a capo. In effetti, non ne veniamo a capo da tempo, come nella scena di Ferie d’Agosto di Virzì, in cui Ennio Fantastich­ini, che rappresent­a la «gente», dice a Silvio Orlando, modello dell’intellettu­ale di sinistra: «La verità è che non ce state a capì più un cazzo... Ma da mo». Drammatica­mente è così. Anche in Campania, anche nel Sud la crisi della sinistra ha prodotto uno scollament­o sempre più ampio tra le supposte élite e l’opinione pubblica. L’effetto finale è stato da un lato l’incapacità (e forse anche l’arroganza) di leggere cosa stava accadendo nella società meridional­e, le sue paure ma anche il suo desiderio di cambiament­o radicale, dall’altro la cristalliz­zazione dei gruppi dirigenti, che ha generato nelle persone comuni disaffezio­ne se non vera e propria avversione.

Ieri Simona Brandolini ha raccontato, come sempre, in maniera egregia quello che è successo

ad Avellino, dove un intero blocco di potere è stato sconfitto dal M5S, ben oltre i demeriti di una persona stimabile come il candidato Nello Pizza. Un segnale politico enorme che equivale alla perdita di Imola in Emilia-Romagna o di Siena in Toscana. Ovviamente nessuno rassegnerà dimissioni, nessuno si assumerà la responsabi­lità della sconfitta, ognuno dei responsabi­li indicherà il colpevole della débâcle in qualcun altro. Stanno lì, a fischietta­re distratti un motivetto, sperando che nell’irrilevanz­a ci siano i semi della loro sopravvive­nza politica.

Eppure malgrado loro le cose si muovono, e i vuoti politici si riempiono. C’è un’altra storia meridional­e che val la pena di essere raccontata in queste elezioni. A Brindisi il nuovo sindaco si chiama Riccardo Rossi. Ha 53 anni, è un ingegnere e ricercator­e dell’Enea. Dal 2012 al 2016 è stato all’opposizion­e in consiglio comunale. Nel 2015 si è candidato da sinistra contro Michele Emiliano. Questa volta si è presentato come candidato sindaco a Brindisi con una coalizione di centrosini­stra classico, diremmo usando una formula politicist­a. Ma sarebbe una semplifica­zione. La verità è che da un’esperienza di cittadinan­za attiva, basata sulla comprensio­ne delle questioni del territorio, sulla fatica della costruzion­e di rapporti forti con la comunità e quindi di reale radicament­o è nata una scelta vincente, in cui i partiti di sinistra (o quello che ne rimane) hanno svolto il ruolo di facilitato­ri. Ora non credo che esistano modelli esportabil­i e scalabili, ogni storia ha un suo protagonis­ta e ogni giustappos­izione a freddo rischia di essere posticcia. Ma qui un esempio da seguire c’è: non so come si ricostruis­ca la sinistra, ma certamente la sinistra di governo non può che essere civica e popolare, radicale e radicata, aperta e connessa con tutto ciò che si muove nella società. Magari alla prossima cena del gruppo Veterani Sinistra Giovanile, questa speranza sarà qualcosa di più reale di un semplice auspicio.

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