Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Ricostruire la Sinistra Ma che sia davvero radicata, civica e popolare
Ognuno di noi ha un gruppo WhatsApp a cui è particolarmente legato. Il mio si chiama Veterani Sinistra Giovanile. Siamo tutti più o meno quarantenni e abbiamo iniziato a fare politica con la Sinistra Giovanile, l’organizzazione che negli anni ’90 ereditò l’esperienza della Fgci. Come potete immaginare, in questo gruppo ci sono deputati ed ex deputati, sindaci ed ex sindaci.
Ma anche moltissime persone che dopo l’esperienza politica giovanile hanno trovato la loro strada nelle professioni, nell’impresa, nell’accademia, nel giornalismo o a scuola. Una volta all’anno facciamo una cena, un po’ per nostalgia, un po’ perché ci vogliamo molto bene. Ci promettiamo sempre di non parlare di politica ma dell’evoluzione delle nostre vite, inevitabilmente però trascorriamo ore a litigare e discutere come se fossimo ancora a via dei Fiorentini.
Venerdì siamo andati da Sorbillo, tra una margherita
e un paio di birre, per tre ore ci siamo esercitati sui massimi sistemi e sulle future sorti e progressive della sinistra. Non ne siamo venuti a capo. In effetti, non ne veniamo a capo da tempo, come nella scena di Ferie d’Agosto di Virzì, in cui Ennio Fantastichini, che rappresenta la «gente», dice a Silvio Orlando, modello dell’intellettuale di sinistra: «La verità è che non ce state a capì più un cazzo... Ma da mo». Drammaticamente è così. Anche in Campania, anche nel Sud la crisi della sinistra ha prodotto uno scollamento sempre più ampio tra le supposte élite e l’opinione pubblica. L’effetto finale è stato da un lato l’incapacità (e forse anche l’arroganza) di leggere cosa stava accadendo nella società meridionale, le sue paure ma anche il suo desiderio di cambiamento radicale, dall’altro la cristallizzazione dei gruppi dirigenti, che ha generato nelle persone comuni disaffezione se non vera e propria avversione.
Ieri Simona Brandolini ha raccontato, come sempre, in maniera egregia quello che è successo
ad Avellino, dove un intero blocco di potere è stato sconfitto dal M5S, ben oltre i demeriti di una persona stimabile come il candidato Nello Pizza. Un segnale politico enorme che equivale alla perdita di Imola in Emilia-Romagna o di Siena in Toscana. Ovviamente nessuno rassegnerà dimissioni, nessuno si assumerà la responsabilità della sconfitta, ognuno dei responsabili indicherà il colpevole della débâcle in qualcun altro. Stanno lì, a fischiettare distratti un motivetto, sperando che nell’irrilevanza ci siano i semi della loro sopravvivenza politica.
Eppure malgrado loro le cose si muovono, e i vuoti politici si riempiono. C’è un’altra storia meridionale che val la pena di essere raccontata in queste elezioni. A Brindisi il nuovo sindaco si chiama Riccardo Rossi. Ha 53 anni, è un ingegnere e ricercatore dell’Enea. Dal 2012 al 2016 è stato all’opposizione in consiglio comunale. Nel 2015 si è candidato da sinistra contro Michele Emiliano. Questa volta si è presentato come candidato sindaco a Brindisi con una coalizione di centrosinistra classico, diremmo usando una formula politicista. Ma sarebbe una semplificazione. La verità è che da un’esperienza di cittadinanza attiva, basata sulla comprensione delle questioni del territorio, sulla fatica della costruzione di rapporti forti con la comunità e quindi di reale radicamento è nata una scelta vincente, in cui i partiti di sinistra (o quello che ne rimane) hanno svolto il ruolo di facilitatori. Ora non credo che esistano modelli esportabili e scalabili, ogni storia ha un suo protagonista e ogni giustapposizione a freddo rischia di essere posticcia. Ma qui un esempio da seguire c’è: non so come si ricostruisca la sinistra, ma certamente la sinistra di governo non può che essere civica e popolare, radicale e radicata, aperta e connessa con tutto ciò che si muove nella società. Magari alla prossima cena del gruppo Veterani Sinistra Giovanile, questa speranza sarà qualcosa di più reale di un semplice auspicio.