Corriere del Mezzogiorno (Campania)
I detenuti spendono un milione al mese
NAPOLI Dodici milioni di euro all’anno. Quasi un milione al mese, circa 250 mila a settimana, senza alcuna tracciabilità. Soldi in contanti che vengono caricati sui libretti personali dei detenuti del carcere di Poggioreale e che vengono spesi per acquistare prodotti allo spaccio del carcere. Questo è il dato impressionante di denaro che ruota attorno al penitenziario più affollato della Campania, tra i maggiori d’Italia, al centro di continue polemiche a causa dei «buchi» nella sicurezza dopo i numerosi sequestri di telefoni cellulari nelle celle e il sistema ingegnoso, rivelato dal Corriere del Mezzogiorno, con il quale si riesce a far entrare micro-telefoni nelle suole delle scarpe. I dodici milioni all’anno sono la somma dei singoli versamenti che ogni detenuto può ricevere mensilmente dai familiari.
Seicento euro al mese è il tetto massimo che i reclusi possono vedersi consegnare da moglie, figli, conoscenti, amici o anche estranei. Soldi che devono necessariamente essere caricati su un libretto custodito al primo piano del penitenziario, come se fosse una carta ricaricabile dove si pagano anche 2 euro di commissione. Sono 2.200 in media i detenuti presenti nel carcere napoletano, ma chiaramente non tutti ricevano il massimo della cifra sui loro «conti correnti». Le medie però sono chiare. Sono circa 1.700 i detenuti che hanno i libretti pieni ogni mese, ovvero i 600 euro previsti dallo Stato. Ma anche in questo caso ci sono dei sotterfugi che spesso usano i boss che possono permettersi di pagare non solo per se stessi, ma per tutti. Accade spesso che quando nelle celle ci sono i «pezzi da novanta» della camorra sono loro a chiedere ai familiari di caricare con il massimo dei soldi non solo il proprio libretto, ma anche quelli di tutti i componenti della cella. Si possono così arrivare ad investire anche tremila euro al mese. Con i soldi caricati si crea consenso e sopratutto benessere. Il mezzo usato è sicuramente lecito e quindi all’apparenza inoppugnabile. Ogni detenuto si serve del «lavorante», ovvero di un altro detenuto a cui è permesso lavorare in carcere e prendere le ordinazioni per il pranzo e la cena. Lui annota e poi si reca allo spaccio, ovvero un deposito enorme gestito da una ditta privata che ha vinto un appalto con il ministero, e preleva tutto ciò che è stato ordinato. Carne, pesce, legumi, pasta ma anche dolci, bibite e sigarette. Riporta tutto in cella e lì i detenuti cucinano con quello che hanno a disposizione, scalando di volta in volta i soldi dal libretto. Intanto a Secondigliano ieri mattina è stato fatto un sit in da parte dell’associazione ex-Don di Pietro Ioia, contro il regime del carcere duro. La protesta è estesa a tutti i penitenziari d’Italia e durerà tre giorni.