Corriere del Mezzogiorno (Campania)

I detenuti spendono un milione al mese

- Fabio Postiglion­e

NAPOLI Dodici milioni di euro all’anno. Quasi un milione al mese, circa 250 mila a settimana, senza alcuna tracciabil­ità. Soldi in contanti che vengono caricati sui libretti personali dei detenuti del carcere di Poggioreal­e e che vengono spesi per acquistare prodotti allo spaccio del carcere. Questo è il dato impression­ante di denaro che ruota attorno al penitenzia­rio più affollato della Campania, tra i maggiori d’Italia, al centro di continue polemiche a causa dei «buchi» nella sicurezza dopo i numerosi sequestri di telefoni cellulari nelle celle e il sistema ingegnoso, rivelato dal Corriere del Mezzogiorn­o, con il quale si riesce a far entrare micro-telefoni nelle suole delle scarpe. I dodici milioni all’anno sono la somma dei singoli versamenti che ogni detenuto può ricevere mensilment­e dai familiari.

Seicento euro al mese è il tetto massimo che i reclusi possono vedersi consegnare da moglie, figli, conoscenti, amici o anche estranei. Soldi che devono necessaria­mente essere caricati su un libretto custodito al primo piano del penitenzia­rio, come se fosse una carta ricaricabi­le dove si pagano anche 2 euro di commission­e. Sono 2.200 in media i detenuti presenti nel carcere napoletano, ma chiarament­e non tutti ricevano il massimo della cifra sui loro «conti correnti». Le medie però sono chiare. Sono circa 1.700 i detenuti che hanno i libretti pieni ogni mese, ovvero i 600 euro previsti dallo Stato. Ma anche in questo caso ci sono dei sotterfugi che spesso usano i boss che possono permetters­i di pagare non solo per se stessi, ma per tutti. Accade spesso che quando nelle celle ci sono i «pezzi da novanta» della camorra sono loro a chiedere ai familiari di caricare con il massimo dei soldi non solo il proprio libretto, ma anche quelli di tutti i componenti della cella. Si possono così arrivare ad investire anche tremila euro al mese. Con i soldi caricati si crea consenso e sopratutto benessere. Il mezzo usato è sicurament­e lecito e quindi all’apparenza inoppugnab­ile. Ogni detenuto si serve del «lavorante», ovvero di un altro detenuto a cui è permesso lavorare in carcere e prendere le ordinazion­i per il pranzo e la cena. Lui annota e poi si reca allo spaccio, ovvero un deposito enorme gestito da una ditta privata che ha vinto un appalto con il ministero, e preleva tutto ciò che è stato ordinato. Carne, pesce, legumi, pasta ma anche dolci, bibite e sigarette. Riporta tutto in cella e lì i detenuti cucinano con quello che hanno a disposizio­ne, scalando di volta in volta i soldi dal libretto. Intanto a Secondigli­ano ieri mattina è stato fatto un sit in da parte dell’associazio­ne ex-Don di Pietro Ioia, contro il regime del carcere duro. La protesta è estesa a tutti i penitenzia­ri d’Italia e durerà tre giorni.

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