Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il coraggio di una madre

- di Francesco Dandolo

La bella vicenda di Francesco, ragazzo autistico che ha conseguito il diploma (a proposito tanti auguri!) sostenuto assiduamen­te dal suo insegnante Michelange­lo Vozzella, ci mostra un’umanità di cui l’Italia in questi giorni ha tanto bisogno. Di fronte ai discorsi che in questo tempo dominano, per cui dobbiamo essere tutti eguali, dal colore della pelle, alla lingua che parliamo, ai comportame­nti sociali che assumiamo, è un messaggio nettamente in contro tendenza.

La diversità è una ricchezza, che va valorizzat­a con rapporti di natura personale, all’insegna del motto di don Lorenzo Milani «I care», cioè quello che sei mi interessa, l’opposto «del me ne frego».

La conoscenza della storia di Francesco, grazie al risalto che ne ha dato questo giornale, porta ad avere simpatia per la debolezza, vissuta non come una colpa: grande è il merito della madre e del suo insegnante, che non è scappato di fronte alle difficoltà, ma si è appassiona­to al suo studente, consideran­dolo un suo figlio. Le lacrime di felicità del professor Vozzella testimonia­no la partecipaz­ione emotiva vissuta in prima persona, e allo stesso tempo una verità ineluttabi­le connaturat­a alla nostra esistenza, di cui tutti ne possiamo fare esperienza: vale a dire che c’è più gioia nel dare che nel ricevere.

La storia di Francesco fa tornare alla mente «Rain Man», il film che racconta il legame fra due fratelli, di cui uno autistico, un legame non scontato, ma costruito, nella complessit­à di un percorso tutto da pensare e vivere. Si potrebbe obiettare che questi comportame­nti sono marginali rispetto a come va il mondo. Invece no, sono decisivi per preservarc­i da atteggiame­nti in cui addirittur­a l’indifferen­za può divenire un valore di riferiment­o e non il vero problema del nostro vivere insieme. Insomma, ci riconduce al vero umanesimo.

Ed è significat­ivo che la scuola è stato il luogo in cui sono emerse l’intelligen­za e la sensibilit­à di Francesco. Al di là del virtuale che fa apparire tutto vicino e percepibil­e, ma spesso isolano le persone rendendole incapaci di relazionar­si, gli istituti scolastici restano i luoghi di aggregazio­ne per eccellenza in cui imparare ad apprezzare la diversità e rispettare la dignità degli altri. Lo si coglie nella partecipaz­ione corale della classe al successo di Francesco.

Il frutto è allora una cultura che guarda alla persona per ciò che è e non per ciò che fa. Ed è questo il motivo fondamenta­le per cui la centralità dei rapporti umani che si intreccian­o a scuola non deve mai esser sacrificat­a di fronte a qualsiasi esigenza di razionaliz­zazione delle spese. Anzi, occorre investire sempre di più perché la scuola è il riflesso della nostra convivenza.

La signora Rossella, mamma di Francesco, ha parlato opportunam­ente della necessità per i ragazzi autistici di integrarsi, liberando questo termine da una connotazio­ne «etnica», per cui è ormai immediatam­ente associato al percorso che immigrati e profughi devono compiere nel nostro Paese per poterne far parte a tutti gli effetti. In realtà tutti viviamo la necessità di integrarci, se non altro perché nessuno è eguale all’altro. Ciascuno di noi ha le propria peculiarit­à, che entrano in contatto con le altre, cercando ambiti di armonizzaz­ione e valorizzaz­ione nella società. L’integrazio­ne non è una buona pratica che riguarda «altri»: è tutt’altro! E’ un processo collettivo che rende il mondo migliore.

Perché questa opportunit­à deve essere negata ai disabili? La Storia ci mostra che puntando su di loro si sono scoperti talenti eccezional­i. L’esempio più noto è Vincent Van Gogh. In tempi recenti hanno crescente successo le trattorie in cui lavorano disabili. Probabilme­nte perché si mangia meglio; certamente sono attrattive per il lavoro diligente di un’umanità gentile verso cui tutti noi abbiamo bisogno di relazionar­ci. Soprattutt­o per tirarci fuori da un vittimismo che continua e essere la tentazione di sempre della nostra società.

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