Corriere del Mezzogiorno (Campania)
IL PECCATO ORIGINALE DELLA SINISTRA
Da qualche giorno la politica meridionale è scossa dall’ennesimo scandalo giudiziario. Questa volta è toccato al presidente della Regione Basilicata, finito agli arresti domiciliari con l’accusa di falso e abuso d’ufficio nell’ambito di un’inchiesta sul sistema sanitario regionale. Non entro nel merito della vicenda, perché i processi si compiono nelle aule di tribunale, dove si esercitano il diritto alla difesa e le prerogative delle accuse. Lì solo ci sono le verità giudiziarie da accertare. Quindi mentre non smettiamo di avere fiducia nella magistratura, non dimentichiamoci che Marcello Pittella, come chiunque, resta innocente, fino all’ultimo grado di giudizio, fino a prova contraria. Eppure sui media il processo è già stato compiuto, le intercettazioni sono state spiattellate, la credibilità di un intero arco politicoistituzionale vale meno di zero. Insomma, è dal 1992 che vediamo riproporsi questo schema che non produce nulla di buono. Sistemi che collassano sotto le spinte di inchieste, sostenute dai media, nascita e ascesa di nuove leadership sempre più volubili ed esposte a quello che Mauro Calise sul Mattino definisce il
Fattore M: la saldatura tra il potere della Magistratura e quello dei Media. In questo la responsabilità, politica e culturale, della sinistra è enorme.
L’illusione che sia possibile vincere le elezioni e governare, cavalcando le spinte anti-sistema, sostenute dai processi mediatici, si è rivelata fatale, anzi una sorta di «peccato originale», che ha prima regalato la vittoria a Berlusconi, poi ha visto nascere l’antipolitica di Grillo e infine ha consegnato il governo ai nazionalisti e ai populisti gialloverdi. Ne parlavo qualche sera fa con Carmine Pinto, docente all’Università di Salerno, che mi ha riproposto un suo saggio del 2011 «Socialisti e comunisti nella crisi giudiziaria del 1992-1994».
C’è un passaggio illuminante che val la pena di essere condiviso: «Le forme con cui si era delineata la crisi del 1992-1994 resero impossibile affrontare nodi cruciali per la riforma dello stato, come la relazione tra politica e giustizia. La divisione si trasferì, anche se in termini diversi, nel corpo del Pds e del centro sinistra. Una parte rilevante del partito restava legata ai temi della “svolta”, non credeva in un ritorno socialdemocratico, aveva dubbi di fondo sul futuro dei partiti tradizionali e sulla capacità di raccogliere l’eredita socialista e comunista in un partito riformista».
A mio parere «questo peccato originale» continua a essere il vero limite della sinistra italiana, perché la costringe a inseguire campagne mediatiche giudiziarie contro l’avversario di turno (Berlusconi allora, Salvini e M5S oggi) o spesso a subirle contro sé stessa (quando a finire sotto l’attenzione dei riflettori sono esponenti della propria parte politica). Valga come esempio per tutti la vicenda che ha riguardato una persona perbene come Stefano Graziano: il linciaggio che ha subito, l’imbarazzo e il silenzio con cui il suo partito ha affrontato la questione, l’utilizzo della sua storia come feticcio quando la sua estraneità e la sua innocenza sono diventate verità giudiziarie.
Ma di quel dolore, di quella solitudine, di quei giorni neri chi ripagherà mai Stefano Graziano? Allora se c’è una lezione da imparare per la sinistra italiana, questa è duplice: esercitare la prudenza quando ci sono inchieste; imparare che i processi si fanno nelle aule di tribunale, non sui media o peggio nell’agone della politica.