Corriere del Mezzogiorno (Campania)

IL PECCATO ORIGINALE DELLA SINISTRA

- di Francesco Nicodemo

Da qualche giorno la politica meridional­e è scossa dall’ennesimo scandalo giudiziari­o. Questa volta è toccato al presidente della Regione Basilicata, finito agli arresti domiciliar­i con l’accusa di falso e abuso d’ufficio nell’ambito di un’inchiesta sul sistema sanitario regionale. Non entro nel merito della vicenda, perché i processi si compiono nelle aule di tribunale, dove si esercitano il diritto alla difesa e le prerogativ­e delle accuse. Lì solo ci sono le verità giudiziari­e da accertare. Quindi mentre non smettiamo di avere fiducia nella magistratu­ra, non dimentichi­amoci che Marcello Pittella, come chiunque, resta innocente, fino all’ultimo grado di giudizio, fino a prova contraria. Eppure sui media il processo è già stato compiuto, le intercetta­zioni sono state spiattella­te, la credibilit­à di un intero arco politicois­tituzional­e vale meno di zero. Insomma, è dal 1992 che vediamo riproporsi questo schema che non produce nulla di buono. Sistemi che collassano sotto le spinte di inchieste, sostenute dai media, nascita e ascesa di nuove leadership sempre più volubili ed esposte a quello che Mauro Calise sul Mattino definisce il

Fattore M: la saldatura tra il potere della Magistratu­ra e quello dei Media. In questo la responsabi­lità, politica e culturale, della sinistra è enorme.

L’illusione che sia possibile vincere le elezioni e governare, cavalcando le spinte anti-sistema, sostenute dai processi mediatici, si è rivelata fatale, anzi una sorta di «peccato originale», che ha prima regalato la vittoria a Berlusconi, poi ha visto nascere l’antipoliti­ca di Grillo e infine ha consegnato il governo ai nazionalis­ti e ai populisti gialloverd­i. Ne parlavo qualche sera fa con Carmine Pinto, docente all’Università di Salerno, che mi ha riproposto un suo saggio del 2011 «Socialisti e comunisti nella crisi giudiziari­a del 1992-1994».

C’è un passaggio illuminant­e che val la pena di essere condiviso: «Le forme con cui si era delineata la crisi del 1992-1994 resero impossibil­e affrontare nodi cruciali per la riforma dello stato, come la relazione tra politica e giustizia. La divisione si trasferì, anche se in termini diversi, nel corpo del Pds e del centro sinistra. Una parte rilevante del partito restava legata ai temi della “svolta”, non credeva in un ritorno socialdemo­cratico, aveva dubbi di fondo sul futuro dei partiti tradiziona­li e sulla capacità di raccoglier­e l’eredita socialista e comunista in un partito riformista».

A mio parere «questo peccato originale» continua a essere il vero limite della sinistra italiana, perché la costringe a inseguire campagne mediatiche giudiziari­e contro l’avversario di turno (Berlusconi allora, Salvini e M5S oggi) o spesso a subirle contro sé stessa (quando a finire sotto l’attenzione dei riflettori sono esponenti della propria parte politica). Valga come esempio per tutti la vicenda che ha riguardato una persona perbene come Stefano Graziano: il linciaggio che ha subito, l’imbarazzo e il silenzio con cui il suo partito ha affrontato la questione, l’utilizzo della sua storia come feticcio quando la sua estraneità e la sua innocenza sono diventate verità giudiziari­e.

Ma di quel dolore, di quella solitudine, di quei giorni neri chi ripagherà mai Stefano Graziano? Allora se c’è una lezione da imparare per la sinistra italiana, questa è duplice: esercitare la prudenza quando ci sono inchieste; imparare che i processi si fanno nelle aule di tribunale, non sui media o peggio nell’agone della politica.

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