Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Bombe al rione Luzzatti Così 77 anni fa ebbe inizio il declino
Il 10 luglio del ‘41 pioggia di fuoco sulle raffinerie
L’incursione aerea degli Inglesi il 10 luglio 1941 mirava a distruggere le raffinerie di via Brecce, posizionate alla periferia Est della città di Napoli. L’impianto per la raffinazione degli oli minerali e propellenti per aerei, era stato inaugurato nel novembre del 1937 dal Regime Fascista: era il vanto dell’industria italiana coi suoi 200 serbatoi che potevano contenere 200mila metri cubi di oli.
I bombardamenti tra il 1940-41 erano ancora mirati agli obiettivi sensibili, ma sulla linea di fuoco di quel luglio di 77 anni fa, fatalmente venne a trovarsi la piscina natatoria coperta XXVIII Ottobre del Rione Luzzatti. Era allora il maggior impianto d’Italia: 50x21 metri di vasca coperta con una volta su archi parabolici di cemento armato, illuminazione subacquea, impianto di sterilizzazione, trampolino, palestra e la possibilità per 4000 spettatori di assistere alle gare. Venne inaugurata il 28 ottobre del 1935, ricorrenza della marcia su Roma, accanto al vicino stadio Partenopeo riammodernato per 40.000 posti. L’industriale ebreo del tessile Giorgio Ascarelli, aveva fondato il Napoli Calcio nel 1926 e pagato di tasca propria il primo stadio (1934). Chiamato Vesuvio e poi dopo la morte del magnate Stadio Ascarelli; l’intervento del fascismo mirava a cancellare completamente la memoria di un ebreo evidentemente troppo scomodo. Le bombe non risparmiarono lo stadio, e sorse sulle macerie di quell’area una ricostruzione a partire dagli anni ’50 che per molti è la materia letteraria rievocata dalle Neapolitan Novels della Ferrante. Dal nome del primo ministro che emanò la Legge per l’edilizia popolare nel 1903, il Rione Luzzatti tra il 1914 e il 1929, vide sorgere i nuovi nuclei abitativi popolari grazie allo IACP, condividendo trai binari della stazione, lo stadio/piscina e gli impianti industriali delle raffinerie, quel paesaggio che oggi dopo tutte le vicissitudini post-industriali, ne fa un caso nazionale, al pari dell’Ilva di Bagnoli. Nel 1985 una violenta esplosione distrusse gli impianti Agip: alla darsena di Vigliena la nave stava scaricando 20mila tonnellate di benzina super per i tubi che attraversano sottoterra il porto e le case, fino ad arrivare ai serbatoi. Ci fu una fuoriuscita frutto di un errore umano e la scintilla. Si scatenò una apocalisse: 5 morti, oltre 160 feriti, migliaia di sfollati e il cielo di Napoli in fumo per una settimana mentre gasolio e benzina si riversarono nelle fogne. Da quel momento l’area Est delle vecchie raffinerie cominciò a delocalizzarsi: la crisi, il pericolo e il disastro ambientale, la mancanza di possibilità di espansione, portarono all’abbandono progressivo del sito. Dichiarata zona ad alto rischio ambientale dalla Legge 426/1998 e poi Sin (Sito Interesse Nazionale) è al centro di una complessa vicenda per di recupero ambientale mai andata in porto: l’area è del resto vasta, più di quella di Bagnoli. Dalla linea di costa fino all’area ex-ICM, case, capannoni degrado e danni ambientali si susseguono senza sosta. Il grande progetto comunale di recupero dell’area Est presentato nel 2014, due anni dopo vede bocciate dall’Europa 11 proposte su 13. Solo quest’anno la società Astaldi, si è aggiudicata i lavori di bonifica del Lotto 2 dell’ex raffineria Kuwait Petroleum Italia. Rispetto al problema dell’inquinamento dell’area Est, quasi nulla. Tra il centro Direzionale, i comuni di San Giovanni a Teduccio, Barra e Ponticelli esiste questa immensa zona grigia: al centro il Rione Luttazzi. Vi sorse nel 1937 la nuova chiesa di San Giuseppe della Parrocchia della Sacra Famiglia, che fu demolita in via Medina dove si trovava col nome di San Giuseppe Maggiore. Gli affreschi settecenteschi furono staccati col pavimento e trasportati nella nuova sede al Rione; la chiesa però fu centrata anch’essa dalle bombe. Persi gli affreschi settecenteschi e trafugate molte opere tra il 1940-43, furono rubate parti del rinascimentale presepe ligneo di Giovanni da Nola. La Madonna e San Giuseppe sono invece musealizzate a San Martino.
Francesco Saverio Nitti agli inizi del ‘900, aveva studiato lo sviluppo industriale di Napoli ad Ovest con Bagnoli, e ad Est tra il porto, le raffinerie e gli impianti Enel, cui si era sovrapposta in continuità di manodopera, una edilizia popolare fascista tra il Rione Luzzatti e Ascarelli. Poi la città è esplosa non solo per le bombe, ma soprattutto per l’edilizia selvaggia e i danni ambientali. Ma di quest’altra parte devastata della città, si parla ancora troppo poco.