Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Eduardo e Luca nelle pellicole di un sogno
Rinasce il San Ferdinando nelle foto «adottate» dell’Archivio Carbone
Amo le foto di cronaca, detesto le foto di famiglia. Forse perché il mestiere che ho scelto si consuma in un giorno e quel giorno ogni giorno, accidenti – vuoi che sia raccontato nel modo migliore, con le parole e le immagini, ma a volte ci riesci e a volte no e in questa struggente, maledetta rincorsa finisci per volere qualcosa che sia soltanto tua e non venga impressa su un foglio che sappia di documentazione, archivio e roba simile. O forse soltanto perché è più sopportabile osservare la ragnatela degli anni sui volti altrui che su quelli amati. Ma poi, a tirar bene le somme, importa poco di cosa piace a me: vi ho fatto cenno soltanto per spiegare il motivo che mi ha spinto ad «adottare» alcuni servizi dell’Archivio Fotografico Carbone.
Una miniera di pellicole a lungo abbandonata e che ora sta lentamente tornando alla vita grazie alla campagna di crowdfunding allestita dall’omonima associazione messa in piedi da Giovanni Nicois e Letizia Del Pero.
Come si può «adottare» un servizio? Semplice: basta andare sul sito dell’archivio, sceglierne uno fra i tanti non ancora digitalizzati e contribuire, con una modica cifra, a recuperare attimi della nostra storia dal buio del passato. Attenzione, però: se la fortuna ti assiste e possiedi un pizzico d’intuito, la donazione può trasformarsi in una pesca miracolosa. A me è capitato per ben due volte. E in entrambe le occasioni si trattava di eventi accaduti nel 1954, un anno che nella mia esistenza significa meno di niente ma che per una strana coincidenza si è trovato al crocevia della ricerca. Il primo reportage che ho «adottato» contiene alcuni ritratti di Ernst Hemingway durante il suo soggiorno a Napoli nel giugno, appunto, del 1954. Lo confesso: pur amando senza remore ogni sua pagina, ignoravo che fosse stato qui. Scoprirlo guardando quegli scatti in bianco e nero - con il golfo sullo sfondo e Papa in primo piano che accenna un sorriso poggiandosi alla balaustra del piroscafo da crociera o che abbraccia impettito Mary Welsh, la sua ultima moglie, prima di sedersi in un bar della Galleria a bere un drink – è stata un’emozione indescrivibile. Ma in questo caso parliamo di miti «privati»: se faccio il giornalista lo devo anche ai suoi libri, che da ragazzo mi hanno rivelato il fascino della scrittura.
La seconda «adozione», invece, narra una storia che ci riguarda tutti perché è la storia di un sogno che trascolora in incubo per poi riprendere la tinta tenue della speranza: l’inaugurazione, la sera del 21 gennaio 1954, del Teatro San Ferdinando ricostruito da Eduardo De Filippo dopo la distruzione provocata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. In quell’impresa l’attore e commediografo napoletano investì tutti i suoi risparmi rincorrendo l’illusione di regalare alla città un luogo dove la nostra tradizione culturale potesse convivere con i nuovi fermenti della scena europea. Dopo una manciata di anni, l’arida e inesorabile conta del dare e avere sbriciolò la sua utopia. Ma dalla piccola scatola dei negativi conservati nell’Archivio Carbone, e soltanto ora digitalizzati, sono emerse quarantuno foto che ci scaraventano di nuovo in quella serata dove tutto sembrava possibile. Eduardo ha la faccia stanca di chi è giunto al capolinea delle proprie forze ma cede al sorriso quando, nel foyer, abbraccia e bacia Titina, l’amata sorella. Fuori dal teatro la folla si accalca su due file per lasciar passare le auto con gli ospiti d’onore: uomini in smoking (nella folla si scorge il milanese Paolo Grassi, patron del Piccolo, che nel 1966, dopo una chiusura di qualche anno per problemi finanziari, riaprirà il San Ferdinando in collaborazione con Eduardo), signore adornate con pellicce di visone, militari in alta uniforme, insomma il milieu di una Napoli che risorge dalle rovine del dopoguerra e prova a respirare il futuro senza più affanni. In un palco, accoccolato su uno sgabello, c’è anche Luca: ha sei anni, un volto da scugnizzo in cui i lineamenti del nonno Eduardo Scarpetta si impastano alla perfezione con quelli dei De Filippo. Toccherà a lui, molti anni dopo, consegnare il destino del San Ferdinando nelle mani del Comune. Osservando bene quella foto, si può scorgere la stessa dolce malinconia che velava i suoi occhi da adulto. Lo sguardo di chi sa che i sogni evaporano al mattino ma che sognare malgrado le sconfitte è la cosa migliore che possiamo fare su questa terra.
Aiutare la memoria Si può scegliere un servizio fra i tanti non ancora digitalizzati e contribuire, con una modica cifra