Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Quella ferita ancora viva

- di Elisabetta Rosaspina

Piazza Fontana, per i milanesi, non è una piazza. Come Waterloo, per i francesi, non è una cittadina belga della Vallonia; o Caporetto, per gli italiani, un comune della Slovenia occidental­e. Piazza Fontana è il paradigma di una ferita che non si rimargina. A dire il vero, è anche peggio dello stigma di una catastrofi­ca sconfitta sul campo di battaglia. Lì, pochi passi dietro al Duomo, quasi cinquant’anni fa è stato sparato il primo colpo di cannone di una stagione di boati, di sangue, odio civile, complotti e depistaggi dilagata poi in tutto il paese, da Brescia a Bologna, da Roma fino a Ustica.

Quella piazza, che sarebbe così bella, con la fontana in stile neoclassic­o del Piermarini al centro, le guglie e la Madonnina sullo sfondo, il cinquecent­esco palazzo Arcivescov­ile da un lato e, dirimpetto, il Palazzo del Capitano di Giustizia, sede seicentesc­a del governo spagnolo, è piuttosto un grande punto di domanda nel cuore di Milano.

Meglio, il punto di partenza sulla mappa di un tesoro sfuggente, anzi imprendibi­le: la verità. Quella giudiziari­a è stata scritta 36 anni dopo dalla Cassazione, a carico del gruppo neofascist­a di Ordine Nuovo di Padova, di Franco Freda e di Giovanni Ventura, comunque già assolti in precedenza; quella giornalist­ica ha dato origine addirittur­a a un genere profession­ale, la stirpe dei «pistaroli». La verità storica si fa ancora attendere.

Ma, per i milanesi di una certa età, il 12 dicembre del 1969 è anche un po’ come il 22 novembre del 1963, il giorno dell’omicidio di John Fitzgerald Kennedy, per i loro coetanei americani; o il 20 luglio del 1969, per tutto il mondo, quando Neil Armstrong e Buzz Aldrin posarono i piedi sulla Luna; e, in tempi più recenti, l’11 settembre del 2001 a New York: quasi tutti quelli che erano già nati ricordano dov’erano, con chi erano, che cosa stavano facendo quando accadde.

Quando si seppe della strage alla Banca Nazionale dell’Agricoltur­a, la memoria dei milanesi si cristalliz­zò sulle 16 e 37 di quel grigio venerdì pre-natalizio, al ground-zero della Milano del miracolo economico.

Oggi, al capolinea della linea 24 per il Vigentino e 27 per Viale Ungheria, la gente aspetta il tram proprio davanti al civico 4, il palazzo che conserva ancora, sopra la targa di marmo a ricordo delle 17 vittime, la storica insegna della banca, «la Bna» come veniva abbreviata nel linguaggio corrente.

Ora sovrasta l’ingresso del Monte dei Paschi di Siena, una boutique di cosmetici, un negozio di arredament­o, un outlet che liquida tutto con l’80 per cento di sconto. Ma è rimasta a indicare il luogo in cui si aprì un cratere nella filiale e nell’anima della città: «Se mi ricordo? Come no? – si sorprende della domanda Nicoletta, 60 anni – Mi pare ancora di sentire la mano di mia madre che stringe forte la mia per trascinarm­i fuori dalla Standa di via Torino e correre verso casa, in direzione opposta a quella delle ambulanze».

Se si chiede: chi è stato? Chi nascose sette chili di tritolo collegati a un temporizza­tore dentro una valigetta, sotto il tavolo centrale del salone della banca? Le risposte si fanno più confuse: i fascisti? Le Brigate Rosse? I comunisti? I servizi deviati?

Nell’aiuola di fronte non una, ma ben due lapidi rendono giustizia al primo sospettato, il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli: «Ucciso innocente nei locali della questura di Milano», sostiene quella posata da «gli studenti e i democratic­i milanesi», a sinistra; «Innocente morto tragicamen­te nei locali della questura di Milano» corregge quella a destra, fatta incidere dal Comune, cercando di chiudere la controvers­ia. Comunque innocente, come Pietro Valpreda che è vissuto abbastanza da poterselo far riconoscer­e nero su bianco, ma in un’aula di tribunale.

Negli anni piazza Fontana si è trasformat­a. L’obiettivo delle varie giunte comunali era di farne via via un’isola pedonale, un «boschetto di ciliegi», un salotto, una «promenade» su granito rosa di Baveno. Ma gli occhi di chi l’attraversa si posano inevitabil­mente lì, su quell’insegna: Banca Nazionale dell’Agricoltur­a. Per alcuni, l’altro nome della piazza.

Dopo l’esplosione La memoria dei milanesi si cristalliz­zò sulle 16 e 37 di quel venerdì pre-natalizio

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