Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Racket, i baby «ambasciatori» della camorra
Una vittima: lettera di minacce da uno di 7 anni. Indagini Dda
C’è un bambino di sette anni che si aggira per le strade della città di Marigliano. Tra le mani ha un foglio di carta stropicciato scritto in un italiano stentato. Lo stringe con forza per non perderlo: «Mi raccomando, non lo devi mai far vedere a nessuno e non lo perdere che sono guai», gli sussurrano poco prima in dialetto napoletano poco prima di scendere da quella casa. Lui è solo un bambino. È più che un insospettabile, è praticamente invisibile agli occhi delle forze dell’ordine.
Quando quel bimbo individua il negozio che gli è stato segnalato, entra in punta di piedi salutando con uno squillante «buongiorno». È educato, molto preciso. Chiede di poter parlare con il proprietario, così come gli hanno suggerito di fare, che pochi istanti dopo si palesa uscendo da qualche stanza, guardando incuriosito il volto docile di quel bambino. Cosa vorrà mai? Istruito alla perfezione, il bimbo tende la mano e l’uomo di fronte apre il palmo raccogliendo il foglietto di carta stropicciato che poco prima il bimbo stringeva nella mano. Poi saluta e come se fosse un robot telecomandato a distanza torna sui suoi passi e fugge via. In quel foglio c’è una minaccia di un boss, una richiesta di estorsione con la cifra che bisogna pagare. È l’incredibile sistema escogitato dalla camorra per chiedere in tutta sicurezza il pizzo a Napoli e provincia e lo raccontano non solo i collaboratori di giustizia, ma anche le vittime delle estorsioni che hanno riferito ai carabinieri di aver visto «bambini che consegnano messaggi». Una circostanza che apre a uno scenario inedito e che ha già attivato la Dda e le forze di polizia.
Succede per la prima volta a Marigliano ma si estende allo stesso modo e con le stesse modalità anche al centro della città. I bimbi invisibili della camorra hanno in premio poco meno di 10 euro, con la promessa poi di poter «lavorare» un giorno per il boss in persona e guadagnare soldi veri. Sembra la trama di un film ma purtroppo è realtà raccontata nero su bianco in una maxi-ordinanza di oltre mille pagine che quattro giorni fa ha portato in carcere venti persone. Succede, infatti, che indagando su un «banale» furto di biciclette a Marigliano i carabinieri riescono a scoprire che un imprenditore noto nella zona e che ha in vendita prodotti in fibra di carbonio molto costosi e ricercati sul mercato dagli appassionati, subisce un furto da decine di migliaia di euro. Poco prima di Natale gli portano via dieci biciclette. Subito dopo il furto, prima della richiesta di pizzo entra in gioco il bambino che viene portato in scooter al cospetto del boss. Dalle conversazioni telefoniche captate dai militari si sente chiaramente che il capoclan Luigi Esposito, detto «’o schiamarro», acconsente a chiedere 4mila euro al proprietario per riconsegnare la merce e invia il baby-messaggero. «È la stessa vittima che racconta di aver avuto di fronte a lui un bambino che poteva avere meno di dieci anni, forse sette, con un foglietto stropicciato tra le mani nel quale c’era scritto a penna una cifra: 4mila» scrive il gip Anna Imparato nell’ordinanza. Era la richiesta di pizzo.