Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Pignatelli e il party Risarcisca il danno di immagine ai bravi medici
uest’anno il servizio sanitario nazionale compie quarant’anni. Non è che prima di quella data nel nostro paese non ci si curasse. La differenza consiste nel fatto che prima del 1978 il sistema di assistenza era diviso fra mille casse malattia, diretta emanazione degli enti assistenziali corporativi, figli del ventennio fascista. Cos’è che cambiò con l’avvento di un unico servizio sanitario nazionale? Fondamentalmente il fatto che fosse unico e universalistico, vale a dire che curasse tutti, ma proprio tutti, mentre prima molte casse si limitavano a garantire le cure e a pagare le spese dei medicinali soltanto ai lavoratori che ne facevano parte e pagavano le quote associative. Per la prima volta l’assistenza sanitaria veniva estesa anche ai vecchi, ai senza lavoro, ai poveri.
L’istituzione del servizio sanitario nazionale costituì una vera rivoluzione sociale, una riforma destinata a cambiare la nostra vita e la storia del nostro paese.
Quella riforma dava finalmente senso all’articolo 32 della Costituzione promulgata trent’anni prima, quello in cui si dice che «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti».
Era la prima volta nella storia delle democrazie moderne che il diritto alla salute trovava spazio nella Carta dei cittadini. Non fu affatto un’impresa facile, occorre dire.
Se andate a leggere gli atti dell’Assemblea costituente (io l’ho fatto e vi garantisco che è un esercizio utile) scoprirete che intorno alla possibilità di iscrivere il diritto alla salute nella Costituzione (e non farne semplicemente una legge ordinaria) ci fu uno scontro durissimo tra varie forze politiche. Tra i deputati contrari c’era Piero Calamandrei, fondatore del Partito d’Azione, uno dei padri della patria.
Ma perché un cattolico così attento alle questioni sociali era contrario a iscrivere quel diritto fondamentale nella Carta degli italiani? Per un motivo che non vi immaginereste: temeva che si corresse il rischio di deludere gli italiani. Calamandrei lo spiegò così: «Quando io penso che in Italia in questo momento, e chissà per quanti anni ancora, negli ospedali e nelle cliniche operatorie gli ammalati muoiono perché mancano i mezzi per riscaldare le sale, e gli operai, guariti dal chirurgo, muoiono di polmonite; quando io penso che in Italia oggi, e chissà per quanti anni ancora, le Università sono sull’orlo della chiusura per mancanza dei mezzi necessari per pagare gli insegnanti, quando io penso tutto questo e penso
insieme che fra due o tre mesi entrerà in vigore questa Costituzione in cui l’uomo del popolo leggerà che la Repubblica garantisce la felicità alle famiglie, che la Repubblica garantisce salute e istruzione gratuita a tutti, e questo non è vero – e noi sappiamo che questo non potrà essere vero per molte decine di anni – allora io penso che a scrivere articoli con questa forma grammaticale possa costituire, senza che noi lo vogliamo, senza che noi ce ne accorgiamo, una forma di sabotaggio della nostra Costituzione! Bisogna evitare che nel leggerla gli italiani dicano: ‘Non è vero nulla…’».
Insomma, non promettiamo quello che non possiamo ragionevolmente mantenere, diceva Calamandrei. Nonostante i suoi dubbi, il diritto alla salute venne iscritto nella prima parte della Costituzione, quella nobile, quella riservata ai diritti inalienabili.
I timori di Calamandrei (e non solo i suoi) furono sconfitti da una singolare alleanza che si formò in seno all’assemblea: un asse che unì tutti i medici – di destra, di centro e di sinistra – che facevano parte dell’assemblea e che concordavano che quel principio dovesse costituire un caposaldo della nascente Repubblica.
A gettare le basi del servizio sanitario
nazionale di cui godiamo oggi (che è uno dei migliori del mondo, il solo che garantisca trapianti e cure oncologiche costose anche all’ultimo dei poveri) è stata dunque la determinazione di decine di medici-deputati che credevano nella loro professione e nella missione che avevano scelto. Certo (come temeva Calamandrei) ci sarebbero voluti decenni perché il diritto alla salute trovasse una concreta e diffusa applicazione. Ci sarebbero voluti anni e anni perché gli ospedali italiani passassero dalle camerate a venti letti (di ispirazione conventuale) a stanze con quattro, finanche due soli letti. Ci sarebbero voluti anni perché la scienza si riprendesse gli spazi fino a quel momento occupati da approssimazione, fatalismo e rassegnazione. E questo è senz’altro dovuto all’impegno straordinario di generazioni di ricercatori, medici, infermieri e specialisti sanitari che si sono spesi e continuano a spendersi da anni per trovare le cure migliori, le terapie più adeguate per alleviare sofferenza e dolore nelle corsie degli ospedali.
Oggi si parla di tayloring terapy, di medicina sartoriale, cucita sulle esigenze dei singoli pazienti, sulla base della considerazione che ogni malato reagisce in modo diverso a una stessa patologia. Si parla di medicina narrativa, di presa in carico del paziente, di umanizzazione del percorso terapeutico.
È per questo che lascia l’amaro in bocca la vicenda del professor Pignatelli il quale, per festeggiare la nomina a primario nel nuovissimo Ospedale del Mare di Napoli, ha chiuso il suo reparto e ha spostato altrove i pazienti per consentire a tutto il personale sanitario di raggiungerlo serenamente al ristorante. Sull’incredibile vicenda – ci raccontano le cronache – indagano la magistratura, la Regione e presto anche l’ordine dei medici della Campania. Se verrà giudicato colpevole, propongo che alle sanzioni previste dalla legge e dal codice deontologico, al professor Pignatelli venga addebitato anche l’onere di risarcire il danno di immagine che un comportamento scellerato come il suo ha causato a un’intera categoria professionale e alla nostra regione.
Mentre il Paese intero discute su come riportare i pazienti al centro dell’azione medica, il professor Pignatelli ha proposto una diversa soluzione. Lui i pazienti non li pone al centro: li sposta altrove, dove non danno fastidio.