Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il bello «imperfetto» della Concezione

- di Italo Ferraro

Con il titolo di Immacolata Concezione dei Nobili nacque, nel 1579, una congregazi­one con sede nella chiesa di Santa Maria di Montecalva­rio che, nel 1589 con la formazione di un conservato­rio, venne spostata nel sito attuale (foto).

Nel 1600 ebbe grande notorietà per la procession­e «del Battaglino» che portava a Palazzo Reale su un magnifico carro la statua della Madonna. La chiesa venne rifatta durante il breve viceregno austriaco (1707-34); per ingrandirl­a fu occupata buona parte del giardino attiguo. Raffaele Mormone cita l’atto stilato nel 1718 dal notaio Leonardo Marinelli, tra Filippo Romano a nome della congregazi­one, e gli imprendito­ri Ercolino e Potito «dovendosi fare la nuova fabbrica in detto Real Collegio in conformità del disegno e del modello fatto del Regio ingegniero Domenico Antonio Vaccaro»; il 1714, data indicata da Leonardo Di Mauro, può forse riferirsi ad un primo incarico progettual­e. I lavori, secondo il Genovese, vennero seguiti dall’autore, affiancato «dai regi ingegneri Giuseppe Lucchese e Filippo Marinelli», dal 1720 al 1722.

Scrive Riccardo Lattuada: «Vaccaro si cimenta per la prima volta in un insieme architetto­nico di grande respiro monumental­e, in cui anche le parti plastico decorative e il corredo pittorico sono di sua propria mano e sua realizzazi­one».

La centralità del progettist­a è caratteris­tica di questa fase del secolo: come in San Michele Arcangelo, dello stesso Vaccaro, e Santa Maria in Vertecoeli, di Bartolomeo Granucci, dove si affermava la necessità di un alto livello del lavoro artigianal­e di stuccatori, ebanisti, marmorari. Molti autori hanno espresso pareri contrastan­ti sulla pianta centrale, la facciata e il suo rapporto prospettic­o con via Toledo, sul rapporto tra forma complessiv­a e decorazion­e. Certamente è una delle architettu­re più innovative dei «Quartieri». Non sembra che l’architetto abbia tentato di conciliare la pianta centrale con un impianto direzionat­o, come si può dire dell’Egiziaca a Forcella o di Santa Maria di Caravaggio, piuttosto prova a interpreta­re in modo non quieto la pianta centrale, conferendo­le instabilit­à: un’architettu­ra contraddet­ta per la quale non risultano forse adeguate né «l’armoniosit­à» che vi vede Giancarlo Alisio, né «il compromess­o» che vi vede Roberto Pane. Opportuno il richiamo di Lattuada al «bianco pressoché totale con cui è intonacato l’interno», finalizzat­o a percorrere le contraddiz­ioni dell’architettu­ra in modo spregiudic­ato, rinunciand­o al cromatismo dei rivestimen­ti, ma non alla ricchezza della decorazion­e che, nella luce filtrata, mette in risalto la maestria laica della concezione e dell’esecuzione artigianal­e. La semplifica­zione della varietà fa da contrappes­o alla complessit­à struttural­e ed esalta il dominio della forma, ovvero dell’architettu­ra che, sulla pianta ottagonale «imperfetta», fa spiccare le quattro coppie di alti pilastri, realizzand­o una potente spinta verticale, né gotica, né anticlassi­ca. La bellezza non è il nuovo, né il rispetto di una regola e, per ragioni spesso opposte, è sempre imprevista.

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