Corriere del Mezzogiorno (Campania)

UN OBBLIGO AIUTARE CHI SOFFRE

- Di Francesco Dandolo

Fa un certo effetto pensare che i porti del Mediterran­eo, tra cui Napoli e Salerno, non debbono accogliere i profughi. I due porti campani, soprattutt­o Salerno, hanno contribuit­o fino a poco fa a far approdare navi della marina militare italiana e delle Ong sulle coste italiane cariche di donne, bambini, ragazzi sopravviss­uti ai viaggi della speranza. Malgrado i problemi e le emergenze che si sono dovuti affrontare, è stata nel complesso un’esperienza largamente positiva. Nei porti, oltre chi era preposto all’accoglienz­a, si è riversata tanta gente con il desiderio di dare una mano. Insomma, si è colto un diffuso desiderio di voler fare del bene. Ulteriore prova è stato il consenso attorno alla proposta del sindaco de Magistris di accogliere nel porto di Napoli l’Aquarius, la nave che aveva con sé oltre 600 profughi. Questi comportame­nti non sono dettati da scelte estemporan­ee. La definizion­e di Mediterran­eo come «mare nostrum» va intesa come mare che affratella. Certo, è stato scenario di sanguinosi conflitti che hanno segnato la Storia, ma alla lunga sono prevalsi più gli intrecci che le fratture. Lo si coglie da una tipicità mediterran­ea, percepibil­e nei tratti fisici, nel modo di parlare, nella gestualità. Né è scaturita una cultura, frutto di contaminaz­ioni e scambi, in larga parte condivisa. Cultura intrisa di cristianes­imo, che nel Mediterran­eo ha mosso i suoi primi passi fino a divenirne il cardine della sua irradiazio­ne in altre aree del mondo.

Ma anche di altre religioni: Giorgio La Pira lo definiva il «grande lago di Tiberiade» perché accomuna la «triplice famiglia di Abramo».

Ma il Mediterran­eo è stato una grande infrastrut­tura naturale, quando non esistevano ferrovie, aerei, automobili. Napoli, tra le più grandi metropoli europee dell’età moderna, ne ha tratto tanti vantaggi, potendo sfamare la sua popolazion­e in perenne eccesso grazie all’apporto di cibo provenient­e dalle varie sponde del Mediterran­eo. A ciò si riferiva Fernand Braudel quando definiva il Mediterran­eo un crocevia di frontiere, in cui vi sono tanti beni e una larga e inestricab­ile circolazio­ne di uomini.

Un’interpreta­zione secondo cui frontiere e libera circolazio­ne sono tutt’altro che inconcilia­bili. Oggi, invece, lo sono diventati. È il brutto segno dei tempi in cui viviamo. Il messaggio, spesso gridato, è che non bisogna accogliere. Addirittur­a si parla dei porti italiani come approdi insicuri. Il Mediterran­eo non è unione ma divisione. Sono divisioni penose e amare: si confrontan­o, senza dialogare, le coste del mondo ricco con quelle del mondo povero.

Si avverte disagio: a manifestar­lo senza esitazioni sono coloro che trascorron­o gran parte del loro tempo in mezzo al mare. Sarebbe come imporre il divieto di soccorrere persone che per strada vediamo morenti. Come si fa a voltare la faccia dall’altra parte? Lo si può fare per scelta individual­e — a mio avviso assai deprecabil­e — ma non lo si può ordinare per legge.

Allora viene da pensare che il mare rende più umani rispetto a ciniche logiche elaborate in luoghi lontani dalle emergenze umanitarie del Mediterran­eo. E’ una umanità cui è impossibil­e sottrarsi per chi ha confidenza con il mare. Lo ha rilevato l’ammiraglio Giovanni Pettorino, comandante generale delle Capitaneri­e di Porto, di origini ischitane: «Il nostro mestiere: salvare vite umane, di qualunque colore e nazionalit­à. E’ la legge del mare, la legge della solidariet­à: la guardia costiera lo ha fatto e lo farà ancora».

Dalle cronache dei giorni scorsi abbiamo letto di una bimba di quattro anni, smagrita e riarsa dal sole, che appena sbarcata ha chiesto ai medici di curare subito la madre, completame­nte disidratat­a e in gravi condizioni fisiche. Il Mediterran­eo, per la civiltà di cui è espression­e, non può essere luogo di queste tragedie. Chi vive a contatto con il mare sarà sempre disponibil­e a prodigarsi nell’accogliere l’umanità dolente, motivato delle gravi disuguagli­anze che attraversa­no il mondo, di cui le acque del Mediterran­eo ne sono un chiaro riflesso.

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