Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Assegni di divorzio, i nuovi criteri tutelano di più le donne del Sud

- di Alessandro Senatore Avvocato cassazioni­sta e presidente di «Unicamente Rete di profession­isti»

Caro direttore, il dibattito — giurisprud­enziale e non — attorno alla questione dell’assegno divorzile è, da tempo immemore, foriero di dubbi e attriti. Nel tentativo di dirimere i conflitti tra gli ex coniugi ed i contrasti interpreta­tivi tra gli operatori del diritto, la Cassazione civile è intervenut­a a più riprese con sentenze che hanno segnato dei punti di svolta importanti. Dopo la nota sentenza numero 11504/2017 con la quale, non senza suscitare qualche perplessit­à, la Corte di Cassazione si era pronunciat­a affermando l’eliminazio­ne, dai criteri di determinaz­ione dell’assegno divorzile all’ex coniuge, del riferiment­o al tenore di vita in costanza di matrimonio, di recente la Cassazione, questa volta a Sezioni Unite, è intervenut­a nuovamente sulla questione. La sentenza numero 18287/2018 dello scorso 11 luglio ha, in un certo qual modo, aggiustato il tiro della pronuncia precedente che a molti, tra gli addetti ai lavori, era apparsa troppo radicale e difficilme­nte adattabile in un ambito così delicato e peculiare come quello dei rapporti matrimonia­li. Se la sentenza del 2017, infatti, aveva attribuito priorità all’applicazio­ne del principio della pari dignità di genere rispetto al principio di solidariet­à tra ex coniugi, con lo scopo di evitare che il rapporto matrimonia­le, anche se definitiva­mente estinto sul piano personale, potesse dare adito al perpetuars­i di ingiustifi­cati vincoli patrimonia­li ultronei rispetto al divorzio, questa volta le Sezioni Unite sono giunte a considerar­e che non tutti i matrimoni rispondono alle medesime dinamiche. Si tratta di un traguardo importante che, senza smettere di guardare al futuro e dunque ai mutamenti di costume che sono intervenut­i nella nostra società e che, correttame­nte, hanno valorizzat­o l’indipenden­za e l’autonomia della donna e richiamato ciascun coniuge all’autorespon­sabilità, non dimentica di considerar­e quei nuclei familiari in cui le scelte di vita economiche e personali risultano ancora legati a retaggi del passato o a condizioni contingent­i. La sentenza delle Sezioni Unite, che non ha reintegrat­o il criterio del «tenore di vita», contempla una serie di parametri compositi in cui assume preliminar­e importanza il contributo apportato dal coniuge alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto all’assegno divorzile. Alla pronuncia del 2017 erano seguite una serie di sentenze che nella rigida affermazio­ne del principio dell’indipenden­za e autosuffic­ienza economica penalizzav­a il coniuge debole considerat­o, dopo il divorzio, come individuo avulso dal pregresso familiare e personale nonché dal contesto economico e sociale di appartenen­za. I parametri delineati con la sentenza del 2017, infatti, non tenevano in consideraz­ione quei matrimoni tutt’ora numerosi in cui le donne, per indole o cultura familiare, decidono di dedicarsi completame­nte alla cura dei figli e della casa, trascurand­o la profession­e o, ancora, quelle crisi coniugali intervenut­e in età avanzata, quando l’ingresso nel mercato del lavoro diventa più difficile, specie in realtà come quelle del Mezzogiorn­o in cui il lavoro manca o è mal pagato. Allo stesso tempo, questa sentenza riporta al centro della questione la figura dell’avvocato matrimonia­lista il fondamenta­le compito di sapere rappresent­are scrupolosa­mente al giudice la presenza di uno squilibrio economico sussistent­e tra i due coniugi e l’apporto effettivo, in termini di sacrifici anche di carattere personale, prestato dal coniuge richiedent­e l’assegno. Un grande lavoro in sede probatoria che comporterà, alla luce delle regole processual­i vigenti, una dilatazion­e dei tempi del processo che già adesso appaiono inconcilia­bili con i tempi della vita quotidiana che, certamente, non può restare cristalliz­zata al momento della fase istruttori­a. Il rischio, dunque, è quello di ottenere sentenze che arrivano troppo in ritardo mentre nel frattempo nella vita degli ex coniugi sono intervenut­i profondi cambiament­i, personali o economici. Quello che ci si auspica è che il legislator­e italiano intervenga sull’assetto processual­e al fine di snellire la procedura in modo da consentire agli operatori del diritto di operare compiutame­nte ed a quanti si apprestano ad affrontare il dolore di un fallimento coniugale di poter riprendere in mano la propria esistenza in tempi brevi e nel migliore dei modi.

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