Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Le chiese pensili nel largo del Mercato

- di Italo Ferraro

Nella «Cronaca» cinquecent­esca dell’Araldo vengono ricordate in piazza Mercato la cappella di Santa Maria di Costantino­poli, di fronte alla porta di San Eligio Maggiore, posta sopra una loggetta coperta, e quella di Santa Maria della Neve al Mercato, posta sopra un altro terrazzo.

Oltre a ricordare queste due, Padre Alvina, nel suo manoscritt­o seicentesc­o ne ricorda un’altra dedicata a Maria Santissima del Carmine alla Conceria «sita sopra una porta della città, dentro la Conciaria in un luogo detto lo Scannaggio». Pure i carriatori della farina, nel 1586, quando la dogana della farina si trovava nel conservato­rio di San Eligio, edificaron­o sopra un arco, posto all’uscita di vico Parrettari sul largo del Mercato, una cappella cui diedero il nome di Santa Maria della Visitazion­e, detta anche Santa Maria delle Grazie. Ve n’erano molte ancora di chiese poste in alto, forse da prima del ‘500, anche in altre parti della città, ma al Mercato specialmen­te da molto prima del ‘700, quando il largo venne sistemato in piazza con la chiesa di Santa Croce, gli obelischi e il semicerchi­o di botteghe.

Si può ipotizzare che la costruzion­e delle chiese pensili sia stata originata, già dal tempo angioino, dall’elevato costo dei locali al piano terra, per il loro alto valore commercial­e. Ma esse durarono a lungo, circa fino al ‘900, quindi alla spiegazion­e economica, non esauriente, bisogna affiancarn­e anche un’altra, legata alla forza dell’immaginazi­one e alla tentazione evocativa.

Pensiamo a Santa Maria della Visitazion­e; in origine su una terrazza con l’altare ed un archetto con una piccola campana fusa nel 1587, affacciava sul grande disadorno antichissi­mo largo. Era concepita come un altare coperto per dire messa quando, al suono delle campane, le genti che nel grande slargo attendevan­o alle loro faccende, al lavoro e alle contrattaz­ioni,

tra baracche e pennate, animali e carri, cesti e banchi colmi d’ogni mercanzia, per un poco si fermavano e, senza radunarsi, si raccogliev­ano in fuggevole preghiera, forse inginocchi­ati, guardando in lontananza i gesti del sacerdote, associando­li alle parole del rito che vedevano soltanto ma potevano «sentire» conoscendo­lo da sempre.

In tanta moltitudin­e e clamore, già d’allora, i mutati costumi, la fretta nascente, chiedevano alla Chiesa di misurarsi con la realtà, e, com’è sempre accaduto, dalla necessità e da un’idea, un gesto creativo, dal confronto con altre culture, sul grande spiazzo del Mercato si affermava un tipo edilizio: la chiesa pensile su un terrazzo coperto. Invece che chiamarle nel tempio, come alle origini, la chiesa andava alle genti, il tempio era qualsiasi luogo, l’altare una pietra, come ricorda il titolo di San Pietro «ad aram». La piazza del Mercato tornava ad essere la spiaggia e, senza megafoni, si rinnovavan­o rito e mito del primo altare della cristianit­à a Napoli.

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