Corriere del Mezzogiorno (Campania)
James Taylor a Pompei con Bonnie Raitt
Il menestrello di Boston stasera dal vivo all’Anfiteatro degli Scavi dopo il doppio live dei King Crimson e l’esibizione di Marcus Miller Prima di lui salirà sul palco la cantautrice e chitarrista blues
Ha vinto cinque Grammy Awards, quaranta dischi d’oro oltre a molteplici dischi di platino; nel 2000 è stato insignito nella Rock’n’Roll Hall of Fame e nella prestigiosa Songwriter’s Hall of Fame. James Taylor, il menestrello di Boston, uno dei più grandi songwriter della storia, stasera sarà in concerto nell’Anfiteatro degli Scavi di Pompei. Immediatamente dopo il doppio concerto dei King Crimson e quello di Marcus Miller. A precederlo in scena stasera, con un suo set, Bonnie Raitt straordinaria chitarrista e cantautrice blues, in tour con il suo ventesimo album «Dig in deep».
Taylor è passato indenne attraverso il tempo. L’ex «Baby James» ha settant’anni e vive in armonia con se stesso nonostante i tragici avvenimenti che hanno segnato la sua vita. «Negli anni sono volate via alcune delle persone e me più care – disse Taylor qualche anno fa – e proprio in questi momenti la vita ti riserva delle sorprese. La forza che trovi, quella voglia di reagire che scopri di avere dentro resta un gran mistero». Quella stessa forza che all’inizio della carriera lo salvò dall’alcool e dalla droga. «A 18 anni stavo gettando via la mia vita, smarrito negli eccessi: sono stato ad un passo dalla morte. Poi la lunon ce». L’incontro con i Beatles George Harrison e Paul McCartney fu la sua ancora di salvezza. «Spedii alcune mie registrazioni alla Apple a Londra, la loro casa discografica. Non me l’aspettavo ma un giorno mi chiamò Peter Asher fratello dell’attrice Jean, che era stata la fidanzata di Paul, incaricato della sezione ricerca e pubblicità. Iniziò con quella telefonata la mia storia musicale». Taylor è stato il primo non Beatles a registrare per la Apple; era il 1968 ed uscì il suo primo album che portava il suo nome e che racchiudeva brani intramontabili come «Carolina on my mind», «Something in the way she moves». Ma il 1968 è stato anche l’anno in cui la rivoluzione sociale raggiunse il culmine negli States come in Europa; l’anno in cui l’idea che la musica potesse cambiare il mondo aleggiava nell’aria: «Pensavamo di essere al centro del mondo e chissà forse per po’ avevamo ragione. Il sessantotto per quelli della mia generazione è racchiuso nell’entusiasmo con cui guardavamo al futuro. Molti della mia generazione si sono bruciati ma per colpa dei sogni; è solo che scopriamo troppo tardi di essere fragili, semplicemente uomini».
Ad accompagnare Taylor una all star di alcuni dei migliori musicisti della scena statunitense: Steve Gadd alla batteria, Luis Conte (percussioni), Kevin Hays (piano/tastiere), Alt Fowler (tastiere), Mike Landau (chitarra), Jimmy Johnson (basso), Lou Marini (fiati), Arnold McCuller, Andrea Zonn e Kate Markowitz ai cori.