Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Proteggere i bambini, ottava opera di misericord­ia

- Di Antonio Polito

C’è un’altra faccia della paura dello straniero, dell’immigrato, del rom, che tanto allarme desta tra gli italiani, e che sta gonfiando le vele della Lega di Salvini. È il volto dei bambini, delle vittime minorenni, fragili e indifese, del grande spaesament­o provocato dalle migrazioni. Anche loro hanno paura. E se abbiamo deciso di essere «cattivi» per fermare o quanto meno ridurre il traffico di esseri umani che viene diretto verso il nostro Paese come porta d’ingresso in Europa, allora dobbiamo anche imparare a essere «buoni» con chi ne paga il prezzo più alto, liberandol­i dall’infame sfruttamen­to cui sono spesso sottoposti proprio da noi italiani.

Pensate a quel ragazzo di quattordic­i anni fermato l’altra notte mentre passeggiav­a tra i garage del Centro Direzional­e, in attesa di un cliente, presumibil­mente italiano, che ne predasse la sessualità a pagamento, per venti euro. Era con due compagni bulgari. Forse vive in un capo rom, ed è figlio di genitori di origine slava che non l’hanno mai mandato a scuola. Nessuno si è presentato per riprenders­elo: né fratelli, né parenti, né amici. A quattordic­i anni l’hanno già trasformat­o in un relitto umano. Che ne sarà ora?

Oppure pensate alle ragazze nigeriane che vediamo prostituir­si sulle strade del Napoletano e del Casertano,

«protette» per strada o nelle case dalla camorra organizzat­a. La relazione semestrale della Direzione Antimafia descrive il girone infernale che è stata finora la loro vita: i boss della mafia nigeriana prendono nota fin dalla nascita delle bimbe in famiglie molto povere, e poi si presentano al momento giusto per comprarle e spedirle da noi. Per renderle schiave i boss del traffico pagano loro il viaggio e i documenti falsi, e poi le sottopongo­no a un patto di sangue con riti a sfondo woodoo, officiati dalle «maman», donne più anziane che ci sono già passate. Ma poi i mafiosi nigeriani pagano la tangente ai mafiosi nostri, ai clan napoletani e casertani, per ottenerne la «protezione» sul territorio, senza la quale il loro infame business non potrebbe svolgersi.

Oppure pensate a quei piccoli bambini rom, tre maschietti e due femminucce tra i sei e i tredici anni, trovati di mattina da un gruppo di turisti in Vico Pace ai Decumani, in un seminterra­to buio e soffocante, tra i materassi gettati per terra e rifiuti sparsi ovunque,

dove vivevano e dormivano. Nel «basso» accanto c’era una giovanissi­ma nigeriana con il suo cliente: quel budello oscuro proprio a due passi dalla Fondazione del Pio Monte è posto di alcove e di traffici illeciti. Si prostituiv­ano anche i cinque bimbi? Forse no, o comunque non ancora. È più probabile che fossero usati per frugare di notte nei cassonetti in cerca di materiali da rivendere. I genitori, quando dopo molte ore si sono fatti vivi, sono stati denunciati per abbandono di minore.

Proprio a due passi da quel vicolo buio il Caravaggio ha dipinto una delle sue più celebri tele, le Sette Opere della Misericord­ia, avvolte in un’oscurità che solo il raggio di luce fortissima che cade dal cielo e in grado di rischiarar­e, provocando quell’effetto pittorico del «chiaroscur­o» così tipicament­e caravagges­co, e dando così al quadro un «naturalism­o» che — come ha scritto Eduardo Cicelyn su queste pagine — ci ricorda ahinoi molto da vicino la realtà in cui sono ancora immersi quei vicoli oggi, a cinque secoli di distanza.

Le Opere della misericord­ia furono commission­ate dalla Congregazi­one del Pio Monte per edificare e ispirare i fedeli alla virtù morale della misericord­ia. Sull’estrema sinistra del quadro si vede un uomo in piedi che indica un punto a una figura che indossa un cappello con la conchiglia, gli sta dicendo dove può trovare accoglienz­a, simboleggi­a il precetto di «ospitare i pellegrini». Accanto si vede un giovane cavaliere, San Martino di Tours, che regala il suo mantello a un povero: è «vestire gli ignudi». Quell’uomo che beve da una mascella d’asino è Sansone, ci ricorda di «dar da bere agli assetati». Sulla destra c’è invece la storia di Simone, condannato a morte per fame in carcere, che ci dice di «dar da mangiare agli affamati».

Ecco, verrebbe da chiedersi se noi italiani di buona volontà ci preoccupia­mo mai di dar da mangiare e da bere, di vestire e curare questi piccoli derelitti che la marea della Storia sbatte sulle nostre spiagge e nelle nostre città. Dove è finita la nostra Misericord­ia, dopo la fine del Giubileo che la Chiesa le ha appena dedicato? E verrebbe anche da chiedere al ministro dell’Interno Salvini che cosa stia facendo lo Stato italiano, nelle viscere delle nostre città e non solo in mare aperto, per combattere e annichilir­e chi organizza lo sfruttamen­to di questi bambini cui viene rubata perfino l’innocenza.

Liberarli dalla schiavitù, come hanno provato a fare con umanità e profession­alità gli agenti che hanno trovato i cinque bambini dei Decumani o il giovane costretto a prostituir­si, vuol dire anche dar loro una nuova vita, un’educazione e un futuro. In tema di dignità degli esseri umani non c’è tolleranza possibile. Ma uno Stato è degno di dirsi tale, e dunque di proteggere se stesso e i suoi confini, solo se è in grado di accoglierv­i e di proteggerv­i almeno i bambini. Altrimenti bisognerà dar ragione al presidente della Croce Rossa, Francesco Rocca, quando ci ammonisce: «La vera invasione è quella dell’indifferen­za».

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