Corriere del Mezzogiorno (Campania)
UNA CITTÀ IN STATO COMATOSO
Va bene dare la cittadinanza onoraria a illustri personaggi non napoletani ma benemeriti e vicini alla città. Va bene partecipare al gaypride, pur se marcia nel cattivo gusto, e iscrivere all’anagrafe i figli delle coppie omogenitoriali. Va bene manifestare, coi «porti aperti», per l’accoglienza e l’ integrazione degli immigrati, riunendo a Napoli personalità europee delle organizzazioni non governative e del terzo settore. Tutte queste iniziative sono lodevoli e giustamente stanno a cuore al sindaco di Napoli e ai napoletani animati da veri ideali. Va bene pure che siano tutte iniziative, guarda caso, di grande risonanza mediatica, nazionale e internazionale. È però naturale che tanti napoletani si chiedano se il sindaco non abbia troppe cose da fare per avere qualcosa da dire a chi vive e lavora in città. Napoli versa in uno stato comatoso: per assenza totale del trasporto pubblico, poca pulizia, nessun decoro urbano, nessun controllo del territorio e pessimi servizi in genere; blocco di opere pubbliche e di ogni progettualità (dagli impianti sportivi a Bagnoli ecc.). I presidenti delle Municipalità non fanno altro che emettere gridi di dolore. Si lamenta la Città Metropolitana, che non si sa se serve a qualcosa o addirittura se ancora esiste. L’alibi del sindaco per questo «non-governo» della città è senza dubbio formidabile: non ci sono soldi e ci sono anzi debiti spaventosi. Verissimo. Ma, in una simile situazione, che cosa la cittadinanza deve ragionevolmente aspettarsi dal Capo del «non-governo»?
In primo luogo, un discorso di verità, pur se fatto di lacrime e sangue, anziché accenti trionfalistici (su turismo, arte, cultura). In secondo luogo, basta litigi coi livelli istituzionali cui si chiede aiuto (Governo e Regione) e con altri interlocutori, al di là di centri sociali, baretti e pizzicagnoli più o meno abusivi. In terzo luogo, un po’ di ascolto e di dialogo, anziché fastidio e insulti, con quanti (istituzioni private, giornalisti, cittadini ecc.) fanno rilievi e avanzano proposte di buon senso. Infine, ma non certo per importanza, un minimo di riflessione, in un clima più sereno e di maggiore coesione sociale, sull’apporto che i privati possono dare per evitare il disastro e l’esasperazione che si va diffondendo.
Per esempio, se c’è l’emergenza – e l’emergenza c’è – è saggio pensare di affidare a referenziate imprese private alcuni servizi pubblici (poniamo: i trasporti) con gare europee, i cui bandi contemplino nel dettaglio esigenze sociali e prestazioni indispensabili per i cittadini (periferie ecc.). Almeno finché il trasporto pubblico non si risolleva (due, tre anni e forse più?), com’è pensabile che i napoletani continuino a muoversi in questo inferno?
Il sindaco, da giurista, sa bene che un conto è la proprietà e il controllo di un servizio, un altro conto è la gestione. Ora, per quanto si debba mettere nel conto pure il profitto aziendale, non è che per una sola gestione privata sotto controllo pubblico, va lesa l’intangibile sacralità di un bene comune o di un servizio. Sempre che, è logico, non si voglia difendere a tutti i costi un servizio pubblico che non c’è.