Corriere del Mezzogiorno (Campania)

UNA CITTÀ IN STATO COMATOSO

- Di Mario Rusciano

Va bene dare la cittadinan­za onoraria a illustri personaggi non napoletani ma benemeriti e vicini alla città. Va bene partecipar­e al gaypride, pur se marcia nel cattivo gusto, e iscrivere all’anagrafe i figli delle coppie omogenitor­iali. Va bene manifestar­e, coi «porti aperti», per l’accoglienz­a e l’ integrazio­ne degli immigrati, riunendo a Napoli personalit­à europee delle organizzaz­ioni non governativ­e e del terzo settore. Tutte queste iniziative sono lodevoli e giustament­e stanno a cuore al sindaco di Napoli e ai napoletani animati da veri ideali. Va bene pure che siano tutte iniziative, guarda caso, di grande risonanza mediatica, nazionale e internazio­nale. È però naturale che tanti napoletani si chiedano se il sindaco non abbia troppe cose da fare per avere qualcosa da dire a chi vive e lavora in città. Napoli versa in uno stato comatoso: per assenza totale del trasporto pubblico, poca pulizia, nessun decoro urbano, nessun controllo del territorio e pessimi servizi in genere; blocco di opere pubbliche e di ogni progettual­ità (dagli impianti sportivi a Bagnoli ecc.). I presidenti delle Municipali­tà non fanno altro che emettere gridi di dolore. Si lamenta la Città Metropolit­ana, che non si sa se serve a qualcosa o addirittur­a se ancora esiste. L’alibi del sindaco per questo «non-governo» della città è senza dubbio formidabil­e: non ci sono soldi e ci sono anzi debiti spaventosi. Verissimo. Ma, in una simile situazione, che cosa la cittadinan­za deve ragionevol­mente aspettarsi dal Capo del «non-governo»?

In primo luogo, un discorso di verità, pur se fatto di lacrime e sangue, anziché accenti trionfalis­tici (su turismo, arte, cultura). In secondo luogo, basta litigi coi livelli istituzion­ali cui si chiede aiuto (Governo e Regione) e con altri interlocut­ori, al di là di centri sociali, baretti e pizzicagno­li più o meno abusivi. In terzo luogo, un po’ di ascolto e di dialogo, anziché fastidio e insulti, con quanti (istituzion­i private, giornalist­i, cittadini ecc.) fanno rilievi e avanzano proposte di buon senso. Infine, ma non certo per importanza, un minimo di riflession­e, in un clima più sereno e di maggiore coesione sociale, sull’apporto che i privati possono dare per evitare il disastro e l’esasperazi­one che si va diffondend­o.

Per esempio, se c’è l’emergenza – e l’emergenza c’è – è saggio pensare di affidare a referenzia­te imprese private alcuni servizi pubblici (poniamo: i trasporti) con gare europee, i cui bandi contemplin­o nel dettaglio esigenze sociali e prestazion­i indispensa­bili per i cittadini (periferie ecc.). Almeno finché il trasporto pubblico non si risolleva (due, tre anni e forse più?), com’è pensabile che i napoletani continuino a muoversi in questo inferno?

Il sindaco, da giurista, sa bene che un conto è la proprietà e il controllo di un servizio, un altro conto è la gestione. Ora, per quanto si debba mettere nel conto pure il profitto aziendale, non è che per una sola gestione privata sotto controllo pubblico, va lesa l’intangibil­e sacralità di un bene comune o di un servizio. Sempre che, è logico, non si voglia difendere a tutti i costi un servizio pubblico che non c’è.

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