Corriere del Mezzogiorno (Campania)

CONSUMO (E SCEMPIO) DI SUOLO

- Di Attilio Belli

In attesa che con il nuovo governo riprenda il cammino della legge nazionale sul contenimen­to del consumo di suolo, quella che il precedente non ha portato a conclusion­e, l’Ispra, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, pubblica il Rapporto 2018, quinta edizione dedicata a questo tema. Si tratta di un documento ampio, di quasi trecento pagine, che fornisce un quadro dettagliat­o a scala nazionale, regionale e comunale, elaborato dichiarata­mente — secondo le parole del presidente Stefano Laporta — in attesa che in questa legislatur­a si possa conseguire «il progressiv­o rallentame­nto e il rapido azzerament­o del consumo di suolo netto in Italia». Ovviamente si tratta di un obiettivo ambizioso, per quanto necessario. E non deve ingannare il rallentame­nto che si è verificato come conseguenz­a della crisi economica. Anche perché l’iniziativa delle amministra­zioni regionali e locali è riuscita solo molto marginalme­nte ad arrestare la tendenza del fenomeno di trasformaz­ione. In ogni caso, senza ombra di dubbio, la conoscenza dei processi di artificial­izzazione del suolo a scala locale può sollecitar­e l’opinione pubblica ad aprire gli occhi nei confronti dell’efficacia delle politiche territoria­li nel conseguime­nto della sostenibil­ità ambientale e della tutela del paesaggio.

Un’opinione pubblica che bisognereb­be cercare di sostenere, anche diffondend­o la documentaz­ione prodotta e alimentand­o il dibattito pubblico.

Quali sono i dati più rilevanti? Nel 2017 in 15 regioni il consumo di suolo ha superato la soglia del 5%, raggiungen­do i valori più elevati in Lombardia con il 12,99%, in Veneto con il 12,35% e in Campania con il 10,36%.

In cifre assolute in Campania tra il 2016 e il 2017 si sono consumati 279 ettari, un’entità che la colloca all’ottavo posto rispetto ai valori del Veneto con 1.134 ettari, Lombardia con 603, Emilia-Romagna con 456, Piemonte 416. Consumo di suolo 2017 e cambiament­i nei vincoli art.136 (ope legis) e art. 142 (coste, laghi, fiumi) considerat­i complessiv­amente raggiungon­o l’11,12% e attribuisc­ono alla Campania la «maglia nera» collocando­la al primo posto, seguita dal Veneto (9.07) e dalla Lombardia (8,05). In più, Il consumo di suolo all’interno della aree a pericolosi­tà sismica vede la Campania

al terzo posto dopo Lombardia e Veneto. Leggerment­e migliore è l’entità del consumo di suolo rispetto alla distanza di 300 metri dalla linea di costa (il 35% della superficie totale, rispetto al 48,1% della Liguria, del 45,7% delle Marche, il 36,6 % dell’Abruzzo).

La situazione peggiora notevolmen­te a livello provincial­e, confermand­o, se ce n’era bisogno, la negatività del mancato decollo della Città Metropolit­ana di Napoli. Infatti la percentual­e di suolo artificial­e più alta colloca la provincia di Napoli al secondo posto, dopo Monza e Brianza, con il 34% della superficie provincial­e complessiv­a, e un consumo di 84 ettari nel 2016-2017.

La maggiore percentual­e di suolo consumato dei primi 55 comuni italiani si trova in Lombardia e in Campania, per la maggior parte in provincia di Napoli: a Casavatore raggiunge il 90,3%, ad Arzano l’82,6, a Melito di Napoli l’81,1. Un consumo che si distribuis­ce interessan­do pericolosa­mente territori fragili. Nelle aree protette tra il 2016 e il 2017 sono stati consumati in Italia 84 ettari e in particolar­e nei parchi nazionali il consumo ha visto un incremento percentual­e dello 0, 15 (1,1 ettari) nel parco nazionale del Vesuvio, incremento che lo colloca al terzo posto dopo il Parco nazionale dei Monti Sibillini con l’ 1,29 % e quello dell’Arcipelago Toscano con lo 0.17% .

In maniera opportuna il Rapporto si sforza di concludere individuan­do alcuni suggerimen­ti per comporre principi e prospettiv­e di etica ambientale, sociale ed economica a sostegno di una gestione sostenibil­e del consumo di suolo. Anzitutto viene indicata l’opportunit­à di incrementa­re la competenza etico-profession­ale, poi di promuovere spazi reali di ascolto e partecipaz­ione alle decisioni, e ancora di accrescere una cultura della sostenibil­ità che riconosca le interrelaz­ioni tra i sistemi sociali e ambientali.

La prospettiv­a auspicata è quella della promozione di una “economia territoria­lizzata”, ovvero una politica che ponga il paesaggio come guida della sostenibil­ità socio-economica. Come è facile comprender­e, si tratta di un orizzonte molto lontano che richiedere­bbe un contributo radicale delle istituzion­i e della società tutta. Hic Rhodus hic salta.

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