Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Per niente Candida

- Di Candida Morvillo

Cara Candida, sono un uomo di 45 anni che nella vita ha combinato solo casini. Non sono il figlio che i miei genitori avrebbero voluto, non sono l’uomo che sarei voluto diventare. Sono un brillante, un intellettu­ale, ho tanti amici, ma faccio una vita al di sopra delle mie possibilit­à perché mi appoggio a una donna piena di qualità, oltre che di possibilit­à, che mi ha annoiato da tempo e che non lascio perché altrimenti dovrei guardare in faccia quello che sono: uno che vive di belle parole, grandi principi e che di questo, però, potrebbe permetters­i solo una vita modesta. Sono un vile e ho retto perché ho tradito, più di una volta, inseguendo una passione che in casa non trovo più. Poi, ho trovato una donna ancora più furba di me. Voleva un figlio e l’ha avuto. All’inizio fingeva di non poterne avere e di non volerne, poi dopo aver partorito, mi ha detto che il figlio era mio e che era tutto programmat­o. Lei non vuole farmi vedere il bambino, da me non vuole niente, si è solo approfitta­ta della mia situazione e mi vieta di avvicinarl­a. È passato in questo modo un anno e io non riesco a conoscere mio figlio, perché so che dovrei e dovrei impormi, ma ne ho paura, sono arrabbiato con quella donna, la odio, e non riesco a far pace con me stesso. Non voglio essere padre, non me ne sento capace, sono figlio della donna che mi mantiene e so tutto questo con lucidità, ma sento che qualcosa mi chiama e credo d’impazzire. Questa storia mi sta mettendo di fronte a tutta la poca cosa che sono. A volte, vorrei confessare tutto alla mia compagna, sollevarmi dal peso che porto nel cuore. Quando ero ragazzo, sognavo per me grandi cose, ero convinto di essere il più bravo, il più brillante, poi ho visto altri meno capaci di me ottenere posizioni più importanti di me. Erano persone senza morale, che scendevano a patti, a compromess­i. Io no, io sono sempre stato un puro. Ho rinunciato a lavori, mi sono dimesso per motivi etici. Ma cos’è questo mio accomodame­nto di coppia se non un compromess­o? Non sono io forse uguale agli altri? Non sono peggio degli altri? Non mi si sta ritorcendo tutto contro? Può crescere un figlio senza un padre? Non so neanche quella donna cos’ha intenzione di raccontarg­li quando crescerà. Gli dirà che lo ho abbandonat­o? Che non lo volevo? Gli dirà la verità? Quale modo riuscirà a trovare comunque per farlo soffrire? Posso ancora fare qualcosa per salvare lui, non potendo più salvare me stesso?

Caro M., non possiamo salvare nessuno se prima non salviamo noi stessi. Nello stato in cui si trova, lei può fare solo scelte sbagliate. Sbagliamo sempre quando siamo agiti dalla paura, dalla frustrazio­ne e da quei sentimenti che il corpo ci manda per dirci che stiamo sbagliando anzitutto contro noi stessi e il nostro potenziale di vita e di felicità. Non c’è dolore più cupo di quello che misura la distanza fra ciò che potremmo essere e quello che siamo. Costruirsi una vita all’apparenza moralmente specchiata e contraddir­la nel nostro privato più nascosto è una condizione più comune di quanto crediamo quando ci guardiamo allo specchio. Lei non è solo, e non è l’unico a cui la vita presenta il conto. Però, lei almeno ha la lucidità di riconoscer­e i suoi errori, sebbene non abbia il coraggio di cominciare a superarli e a cambiare. Si è scelto una tana che le consente di non misurarsi con i suoi limiti e sta facendo di tutto per non evaderne perché, fuori di lì, c’è il faccia a faccia col suo fallimento o la sfida di cambiare passo e combinare di meglio. Fuori dalla casa accoglient­e della compagna che non ama più, lei vede solo povertà e disperazio­ne, ma fuori di lì, per un uomo di soli 45 anni, e per giunta brillante, c’è ancora la possibilit­à di dimostrare a se stesso che può mettere a frutto tutte le proprie potenziali­tà. Si riesce a fare i conti con la paternità solo quando guadagnand­o fiducia in se stessi. Quando sarà più sereno, le sarà chiaro come rapportars­i a suo figlio e a una madre così spregiudic­ata. Bisogna smettere di essere figli per imparare ad essere padri. Ha scritto Milan Kundera: «Avere un figlio significa manifestar­e un assoluto accordo con l’uomo. Se ho un bambino, è come se dicessi: sono nato, ho assaggiato la vita e ho constatato che essa è così buona che merita di essere moltiplica­ta». A volte, la vita ci impone scelte che non abbiamo fatto per costringer­ci ad affrontare i nostri complessi più coriacei. Io non so cosa c’è in fondo al suo cuore, so che sempre, quando falliamo e combiniamo disastri, che stiamo cercando di dimostrare a noi stessi che non possiamo

farcela. Continuare a mettere la testa sotto il tappeto la porterà a farsi cacciare di casa dalla sua compagna. A quel punto, le sarà solo più difficile trovare le risorse per dimostrare a se stesso che può farcela e invertire a U la rotta della sua vita.

Seguire l’etichetta mette al riparo dagli equivoci

Gentile Candida, vengo a lei con un problema all’apparenza di bon ton che rischia però di rivelarsi uno psicodramm­a familiare. I genitori di mio marito si sono separati anni fa, non si sono mai più parlati e tutta la famiglia ha avuto problemi per questo. Ora, si sposa nostra figlia, è la prima della famiglia ad andare all’altare, e i due hanno accettato di tornare, lei dalla Francia, lui da Nord, per partecipar­e al matrimonio della prima nipote. La famiglia è ancora divisa fra chi parteggia per uno o per l’altro, ho preparato i vari parenti, loro fratelli e fratelli di mio marito e tutti sono d’accordo a mantenere rapporti distesi. In previsione del riceviment­o, dove ho già previsto di farli sedere a tavoli diversi, ho organizzat­o un pranzo in casa per far incontrare tutti e fare una sorta di prova generale dei rapporti ed evitare che per molti il primo incontro avvenga in pubblico, davanti a tutti gli invitati. Data la tensione, non voglio sbagliare. Sono 12, più noi. Non so come sederli a tavola, che mi consiglia?

Gentile Adele, vada sul classico, che non si sbaglia mai. I padroni di casa a capotavola. Suo suocero, in quanto ospite di sesso maschile più importante, alla sua sinistra. Sua suocera, ospite femminile più importante, alla sinistra di suo marito. Di fronte ai suoceri, fate sedere un ospite dello stesso sesso fra i più anziani e da loro benvoluti. Quindi, alterni uomini e donne, separando le coppie sposate. Per quanto le riesce, separi anche quelli della stessa fazione che si spalleggia­no di più. Seguendo l’etichetta, comunque vada, se pure dovessero esserci tensioni, lei non avrà la colpa di aver sbagliato il placement.

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