Corriere del Mezzogiorno (Campania)

IL FUTURO DELL’AUTOMOTIVE MERIDIONAL­E TRA MOTORI DIESEL E MODELLI «PREMIUM»

- di Claudio De Vincenti

Citando Hemingway all’incontro con gli operatori finanziari, il 1 giugno a Balocco Sergio Marchionne così sintetizza­va lo spirito che ha animato la rinascita di Fiat prima e lo sviluppo di Fca poi: «Non c’è nulla di nobile nell’essere superiore ai tuoi compagni; la vera nobiltà sta nell’essere superiore a come tu stesso eri prima». E non c’è dubbio che il confronto tra la Fca di oggi e le condizioni drammatich­e di Fiat nel 2004 e Chrysler nel 2009 sia la miglior prova del percorso compiuto.

Come si sono collocati l’Italia e il Mezzogiorn­o in questo percorso? All’inizio degli anni 2000 si era ormai esaurita la strategia seguita da Fiat dal dopoguerra in poi: modelli di segmento basso, competitiv­ità di costo, sostegno pubblico tramite aiuti agli investimen­ti nel Sud e ostacoli all’insediamen­to di altri produttori in Italia. L’arrivo su quello stesso segmento di mercato dei prodotti di nuovi concorrent­i nell’ultimo ventennio del Novecento e il presidio dell’alta gamma da parte delle altre case automobili­stiche europee schiacciav­ano inesorabil­mente lo spazio per Fiat.

Marchionne ha risposto avviando un nuovo corso.

Migliorame­nto tecnologic­o delle auto di segmento basso e medio, scontando una competitiv­ità minore sul prezzo ma maggiore sulla qualità; spostament­o via via sul segmento medioalto e alto, valorizzan­do in particolar­e i marchi Alfa Romeo e Maserati; investimen­to tecnologic­o nel settore dei veicoli commercial­i; rinuncia ad aiuti pubblici (ma ricorso ampio agli ammortizza­tori sociali). La storia successiva, con l’acquisizio­ne di Chrysler e l’internazio­nalizzazio­ne del Gruppo, ha reso sostenibil­e le scelte fatte in Italia e ha confermato la nuova strategia, fino al piano industrial­e presentato a Balocco.

Certo il percorso non è stato privo di passaggi difficili e anche traumatici. Prima della ripresa delle produzioni italiane, la Fiat ha vissuto una fase lunga di cali produttivi e di ridimensio­namenti e chiusure di stabilimen­ti, come sanno bene nel Mezzogiorn­o i lavoratori di Termini Imerese e di Valle Ufita. Tre i versanti di maggior sofferenza.

Il primo, l’ho appena accennato, è quello dei siti dismessi: un confronto difficile e a volte duro nel periodo 201115 tra Governo, Fiat e sindacati ai tavoli di crisi del Ministero dello sviluppo economico. L’impegno delle istituzion­i ha consentito di limitare i costi sociali delle chiusure e di avviare faticosi ma ancora incerti processi di reindustri­alizzazion­e. Il secondo è quello della trasformaz­ione che ha dovuto realizzare la filiera della componenti­stica: colpita all’inizio dalla caduta dei volumi Fiat, ha saputo riorganizz­arsi, differenzi­ando i committent­i e proiettand­osi sul mercato europeo, producendo innovazion­e tecnologic­a, facendosi poi trovare pronta, anche nel Sud, al risveglio delle produzioni Fca.

Il terzo versante è quello delle relazioni sindacali: l’automazion­e che ha modificato radicalmen­te linee produttive e ambiente di lavoro richiedeva una nuova organizzaz­ione di fabbrica basata sul lavoro in squadra e sul controllo della squadra sui processi automatizz­ati. Solo una parte del sindacato — Fim e Uilm — ha raccolto la sfida, l’altra — la Fiom — si è arroccata purtroppo su una linea puramente difensiva.

Oggi gli stabilimen­ti italiani sono inseriti in un Gruppo internazio­nalizzato, con loro peculiarit­à che ne spiegano la ripresa negli ultimi anni e ne delineano la possibile prospettiv­a: gamma alta e medio-alta a Mirafiori, Grugliasco e Cassino (con Maserati e Alfa Romeo); Suv (Jeep) e city car (500x) a Melfi; city car (Panda) a Pomigliano, oggi in attesa di essere sostituita da una vettura premium; veicoli commercial­i di grande diffusione (Ducato) ad Atessa; componenti­stica e motori in stabilimen­ti Fca presenti in Campania, Puglia, Abruzzo, Basilicata. E con sviluppo di nuove tecnologie per la riduzione delle emissioni (elettrico e metano) e per la guida assistita (vedi da ultimo accordo di programma in Abruzzo e centro di formazione in Basilicata).

Sostanzial­mente bene dunque, ma nulla è scontato. Oltre al rafforzame­nto non semplice dell’offerta di Alfa Romeo e Maserati, i nodi da sciogliere — particolar­mente importanti per il nostro Mezzogiorn­o — riguardano la riconversi­one prospettic­a delle linee produttive di motori diesel e il ruolo nella produzione di modelli premium.

Più in generale, al nuovo management è doveroso chiedere sia la conferma di una cultura di impresa che si misura con la frontiera dell’innovazion­e che del suo rapporto con il patrimonio di competenze e di creatività del nostro Paese.

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