Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Guerra della mozzarella Secondo round alla Puglia
A Gioia del Colle la Dop. Il Consorzio della bufala: aspettiamo l’Ue
La mozzarella Dop di Gioia del Colle incassa il sì del Tar del Lazio che ha bocciato il ricorso presentato dal Consorzio di mozzarella di bufala campana. Secondo i giudici non può sorgere alcuna confusione nei consumatori perché la mozzarella campana è realizzata con latte di bufala, mentre quella della pugliese con latte di mucca.
La mozzarella Dop di
NAPOLI Gioia del Colle incassa il sì del Tar del Lazio che ha bocciato il ricorso presentato dal Consorzio di mozzarella di bufala campana. Secondo i giudici non può sorgere alcuna confusione nei consumatori perché la mozzarella campana è realizzata con latte di bufala, mentre quella della pugliese con latte di mucca. Una sentenza in linea con la decisione del ministero dell’Agricoltura di presentare all’Unione europea la proposta per il marchio di Gioia del Colle.
In Puglia esultano: «I giudici hanno riportato la mozzarella sulla retta via», dice Michele Lacenere, presidente di Confagricoltura Bari-Bat. Ma Domenico Raimondo, presidente del Consorzio di mozzarella di bufala campana, non arretra di un millimetro: «Aspettiamo la decisione finale dell’Ue e a settembre valuteremo se presentare o meno ricorso al Consiglio di Stato. È una confusione all’italiana, noi chiediamo chiarezza per tutelare i consumatori».
Lacenere aggiunge: «In Campania hanno una grande specificità nella Dop di bufala, la nostra è di vacca e vanta natali altrettanti illustri e origini altrettanto antiche. Abbiamo più volte sottolineato che il termine mozzarella si riferisce ad una modalità di lavorazione della pasta filata e, quindi, non poteva essere abbinato al solo prodotto di bufala e la Puglia vanta una tradizione di allevamento e lavorazione della pasta vaccina».
Poi scende nei dettagli: «La storia di alcuni caseifici di Gioia del Colle e Noci, in particolare i Capurso della Gioiella e il mastro casaro D’Onghia, ha giocato un ruolo decisivo nella diffusione del prodotto fresco su tutto il territorio nazionale mantenendo le caratteristiche di lavorazione locali. Spero che le due Dop possano divenire un riferimento del ricco firmamento agroalimentare che la Puglia e la Campania mettono a disposizione dei buongustai di tutto il mondo». Confagricoltura Bari-Bat ha spiegato che nella produzione di mozzarella di Gioia del Colle si utilizza esclusivamente latte di vacche che trascorrono almeno 150 giorni all’anno al pascolo, e la cui alimentazione è basata per almeno il 60% da erbe e fieno locale. Il latte di vacca si distingue da quello di bufala grazie alla diversa sequenza di geni delle vacche. Non solo: il latte di mucca ha meno grassi rispetto a quello di bufala e contiene l’87% di acqua; inoltre, la mozzarella di latte vaccino fornisce circa 255 calorie ogni 100 grammi. Il consumo di mozzarella vaccina in Italia da gennaio a novembre 2017 è cresciuto dello 0,7% rispetto al 2016 (fonte Iri). «Sono molto stringenti le norme che regolano la produzione della Dop di Gioia del Colle, a tutela dei vincoli qualitativi: dal pasecolare scolamento obbligatorio per 150 giorni all’anno all’origine delle altre fonti di alimentazione, che per il 60% almeno debbono essere locali, all’obbligo di produrre attraverso la tecnica del siero-innesto, escludendo quindi fermenti lattici selezionati e acido citrico. Inoltre, la lavorazione del latte deve avvenire entro le 36 ore dalla mungitura», concludono.
Domenico Raimondo, presidente del Consorzio campano, ribatte: «Io non ho mai detto no al progetto pugliese e non c’è alcuna “guerra” in atto. Siamo contenti che al Sud ci sia un’altra Dop. Vogliamo solo che chi compra abbia la consapevolezza di saper scegliere. La nostra battaglia non è a tutela delle aziende agricole ma dei consumatori. E non a caso dalla nostra parte ci sono le associazioni».
Così conclude: «Noi abbiamo proposto che il marchio di Gioia del Colle abbia la dicitura latte vaccino. Confidiamo nell’Ue e accetteremo il verdetto». La confusione tra i due marchi potrebbe riguardare anche l’area di produzione della bufala campana che si estende soprattutto nelle province di Caserta, Napoli e Salerno, ma arriva fino a quelle di Frosinone, Latina e Foggia. Il Consorzio campano ha 106 produttori, 1.400 aziende di allevamento, 15 mila addetti e un giro di affari di 600 milioni.