Corriere del Mezzogiorno (Campania)

L’IMPRENDITO­RE E LO STRANO CLIENTE

- Di Maurizio de Giovanni

Mettiamo che un imprendito­re, un qualsiasi capitano d’industria abile e scafato nel proprio settore di attività decida di allargare l’ambito del suo lavoro acquisendo un’altra azienda in stato di difficoltà, anzi già andata a rotoli. L’imprendito­re potrebbe ricordare di averlo già fatto, una quindicina di anni prima, portando la propria impresa dai bassifondi di un terribile rovinoso fallimento a un insperato invidiabil­e successo, provvedend­ola di strumenti e assets che aveva perduto e proponendo il marchio a livello internazio­nale: se l’ho fatto una volta, pensa l’imprendito­re, perché non riprovarci se le condizioni sono simili?

Mettiamo che l’imprendito­re proponga a chi gestisce le macerie dell’impresa numero due la propria esperienza, l’invidiabil­e know how acquisito nel tempo e gli agganci giusti, ottenendo un placet e una stretta di mano davanti alle telecamere con la presentazi­one di un validissim­o piano industrial­e.

Mettiamo infine che la notizia dell’acquisto dell’impresa numero due faccia immediatam­ente il giro dei media, raggiungen­do una rilevanza francament­e sproporzio­nata rispetto all’entità dell’impegno finanziari­o e anche degli obiettivi di breve e medio periodo, forzatamen­te ridotti.

In qualsiasi settore imprendito­riale, la cosa non lascerebbe gran traccia. Non si tratta di aziende quotate in Borsa, non sussiste alcun monopolio, non ci sono riflessi sui prezzi al consumo né ipotesi di trust proibiti dalla legge. Né potrebbe mai accadere, in quasi tutti i settori imprendito­riali, che i clienti dell’impresa uno si lascino prendere da una strana, sottile inquietudi­ne che assomiglia alla gelosia o alla preoccupaz­ione di un deficit di attenzione da parte del suddetto imprendito­re. Il calcio però è un settore imprendito­riale a sé stante, e risponde come tale a logiche che commercial­i, almeno in via esclusiva, non sono. È vero, girano centinaia e centinaia di milioni e a volte gli accordi tra quelli che dovrebbero essere rivali ma che condividon­o gli interessi alterano un po’ i contenuti della concorrenz­a: ma è proprio la figura particolar­e del cliente che qui modifica un po’ la vicenda e rende inapplicab­ili le normali logiche industrial­i. Perché il cliente dell’impresa calcio è un tifoso. Non può cambiare prodotto se il precedente gli diventa antipatico, ad esempio; resta aggrappato ai suoi colori come una cozza allo scoglio, soffrendo se c’è da soffrire e sperando di gioire nell’eventualit­à.

Questo strano tipo di cliente non è lucido e spassionat­o nella scelta, non si lascia ingannare da un involucro colorato o da una pubblicità rutilante; entra nel merito del prodotto, lo osserva nella gestazione e nella successiva evoluzione con ansia e preoccupaz­ione, dice la sua durante tutto il processo di costruzion­e, durante la fruizione piange o ride, lascia uscire la parte peggiore di sé e ha comportame­nti in cui, a mente fredda, stenta a riconoscer­si.

Lo strano cliente non riesce a guardare alla nuova acquisizio­ne da parte del «suo» imprendito­re con sereno distacco. La vede come una distrazion­e, un calo di concentraz­ione pericoloso proprio nella delicatiss­ima fase in cui si completa la costruzion­e di una rosa che qualche buco, diciamo la verità, lo presenta, se è vero com’è vero che la competizio­ne si va facendo dura.

Perché per comprender­e il nervosismo apparentem­ente (e forse in realtà) esagerato dei tifosi azzurri, che è cosa diversa dalla reazione (quella sì, davvero poco comprensib­ile) del tifo organizzat­o, si deve per forza guardare a come stanno allestendo il proprio scaffale le imprese concorrent­i. Calciatori da trenta e più gol a stagione, grandi star internazio­nali il cui arrivo sembrava impossibil­e fino a pochi giorni fa, investimen­ti a pioggia da parte di chi si credeva stentasse a pagare gli stipendi. Ecco perché quando il presidente raggiunge gli onori della prima pagina non per l’acquisto di un centravant­i ma per quello di una squadra di un’altra città serpeggia un minimo di livida delusione.

Ma dopo l’attimo di smarriment­o lo strano cliente fa mente locale, e ricorda che mancano diciassett­e giorni alla fine del mercato. Una vita. Per cui, pensa, ho solo da aspettare un po’ e potrò essere felice anch’io. Forse.

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