Corriere del Mezzogiorno (Campania)
L’IMPRENDITORE E LO STRANO CLIENTE
Mettiamo che un imprenditore, un qualsiasi capitano d’industria abile e scafato nel proprio settore di attività decida di allargare l’ambito del suo lavoro acquisendo un’altra azienda in stato di difficoltà, anzi già andata a rotoli. L’imprenditore potrebbe ricordare di averlo già fatto, una quindicina di anni prima, portando la propria impresa dai bassifondi di un terribile rovinoso fallimento a un insperato invidiabile successo, provvedendola di strumenti e assets che aveva perduto e proponendo il marchio a livello internazionale: se l’ho fatto una volta, pensa l’imprenditore, perché non riprovarci se le condizioni sono simili?
Mettiamo che l’imprenditore proponga a chi gestisce le macerie dell’impresa numero due la propria esperienza, l’invidiabile know how acquisito nel tempo e gli agganci giusti, ottenendo un placet e una stretta di mano davanti alle telecamere con la presentazione di un validissimo piano industriale.
Mettiamo infine che la notizia dell’acquisto dell’impresa numero due faccia immediatamente il giro dei media, raggiungendo una rilevanza francamente sproporzionata rispetto all’entità dell’impegno finanziario e anche degli obiettivi di breve e medio periodo, forzatamente ridotti.
In qualsiasi settore imprenditoriale, la cosa non lascerebbe gran traccia. Non si tratta di aziende quotate in Borsa, non sussiste alcun monopolio, non ci sono riflessi sui prezzi al consumo né ipotesi di trust proibiti dalla legge. Né potrebbe mai accadere, in quasi tutti i settori imprenditoriali, che i clienti dell’impresa uno si lascino prendere da una strana, sottile inquietudine che assomiglia alla gelosia o alla preoccupazione di un deficit di attenzione da parte del suddetto imprenditore. Il calcio però è un settore imprenditoriale a sé stante, e risponde come tale a logiche che commerciali, almeno in via esclusiva, non sono. È vero, girano centinaia e centinaia di milioni e a volte gli accordi tra quelli che dovrebbero essere rivali ma che condividono gli interessi alterano un po’ i contenuti della concorrenza: ma è proprio la figura particolare del cliente che qui modifica un po’ la vicenda e rende inapplicabili le normali logiche industriali. Perché il cliente dell’impresa calcio è un tifoso. Non può cambiare prodotto se il precedente gli diventa antipatico, ad esempio; resta aggrappato ai suoi colori come una cozza allo scoglio, soffrendo se c’è da soffrire e sperando di gioire nell’eventualità.
Questo strano tipo di cliente non è lucido e spassionato nella scelta, non si lascia ingannare da un involucro colorato o da una pubblicità rutilante; entra nel merito del prodotto, lo osserva nella gestazione e nella successiva evoluzione con ansia e preoccupazione, dice la sua durante tutto il processo di costruzione, durante la fruizione piange o ride, lascia uscire la parte peggiore di sé e ha comportamenti in cui, a mente fredda, stenta a riconoscersi.
Lo strano cliente non riesce a guardare alla nuova acquisizione da parte del «suo» imprenditore con sereno distacco. La vede come una distrazione, un calo di concentrazione pericoloso proprio nella delicatissima fase in cui si completa la costruzione di una rosa che qualche buco, diciamo la verità, lo presenta, se è vero com’è vero che la competizione si va facendo dura.
Perché per comprendere il nervosismo apparentemente (e forse in realtà) esagerato dei tifosi azzurri, che è cosa diversa dalla reazione (quella sì, davvero poco comprensibile) del tifo organizzato, si deve per forza guardare a come stanno allestendo il proprio scaffale le imprese concorrenti. Calciatori da trenta e più gol a stagione, grandi star internazionali il cui arrivo sembrava impossibile fino a pochi giorni fa, investimenti a pioggia da parte di chi si credeva stentasse a pagare gli stipendi. Ecco perché quando il presidente raggiunge gli onori della prima pagina non per l’acquisto di un centravanti ma per quello di una squadra di un’altra città serpeggia un minimo di livida delusione.
Ma dopo l’attimo di smarrimento lo strano cliente fa mente locale, e ricorda che mancano diciassette giorni alla fine del mercato. Una vita. Per cui, pensa, ho solo da aspettare un po’ e potrò essere felice anch’io. Forse.