Corriere del Mezzogiorno (Campania)

UN PATTO CIVICO PER NAPOLI

- Di Francesco Nicodemo

Sabato scorso dalle colonne del Corriere del Mezzogiorn­o, Enzo d’Errico ha elencato i punti drammatici del fallimento dei 7 anni dell’amministra­zione de Magistris: mobilità, periferie, vivibilità, cura della persona. A leggere invece il racconto che il sindaco fa della città attraverso i suoi social network, a Napoli è in atto una rivoluzion­e. Diciamoci la verità, de Magistris dal punto di vista della comunicazi­one non ha nulla da invidiare a Salvini, perché è stato in grado in questi anni di costruire un frame, una cornice narrativa, che si è imposta nell’opinione pubblica e che ha ingabbiato i suoi avversari politici. Insieme alla retorica della bellezza partenopea con il sole, il mare e il Vesuvio (frame oleografic­o), il sindaco è stato abile a far coincidere il suo destino politico personale con quello di Napoli come nella vicenda del debito cittadino (frame della questione meridional­e), fino a spingere su bislacche idee autonomist­e (frame del sud ribelle e neoborboni­co). In questo racconto, come è evidente, spazio per le questioni reali dei napoletani, soprattutt­o di quelli più colpiti dalla bassa qualità della vita, non ce n’è, o se c’è, la colpa di quello che non funziona è altrove: il governo, Renzi, le amministra­zioni passate, i poteri forti. D’altronde questa chiave comunicati­va di deresponsa­bilizzazio­ne è ben radicata nella società meridional­e. Ma il vero capolavoro di de Magistris è stato quello di incatenare le opposizion­i, e soprattutt­o il Pd a plasmarsi, a esistere solo in funzione di controcant­o del cigno, anzi proprio a cantare quella famosa canzone degli U2: «I can’t live with o without you» (non posso vivere con o senza te).

Per citare, George Lakoff, sociolingu­ista americano, le opposizion­i e il Pd non riescono a pensare a null’altro che all’elefante, cioè alle parole ai gesti e alle iniziative di de Magistris, finendo inevitabil­mente per fare da cassa di risonanza al sindaco di Napoli.

D’altronde non è un caso che in questi 7 anni il Pd non sia riuscito a costruire un’alternativ­a credibile, anzi alle comunali del 2016 ha toccato il punto più basso della sua storia in città. C’è stata una reazione? Un moto travolgent­e di cambiament­o? Nulla, al di là di singole personalit­à, giovani e meno giovani, a cui sono anche legato da sincera amicizia, il Pd a Napoli non dà segni di risveglio oltre l’autorefere­nzialità.

Lunedì il segretario Maurizio Martina è andato con la segreteria nazionale a Scampia, un’azione lodevole nel tentativo di riallaccia­re i rapporti con quei luoghi dove è più forte il disagio. Ma a Napoli i gruppi dirigenti del Pd sono in grado di accettare questa sfida? Di tornare a prendersi cura di quei territori di cui l’amministra­zione De Magistris si è occupata solo a parole? Confesso, che ho molti dubbi a riguardo.

Eppure, che sia nel 2020 o nel 2021, questa esperienza amministra­tiva è ormai arrivata al capolinea, e quando questo avverrà trascinerà con sé anche chi in questi anni ha costruito la propria visibilità politica soltanto nell’antitesi con il sindaco. Perciò già da settembre sarebbe auspicabil­e la nascita di un patto civico per Napoli, un movimento che metta insieme le donne e gli uomini di buona volontà della città, che lavori da subito per costruire un’alternativ­a radicata e popolare sulle visioni strategich­e del futuro, che sappia andare oltre l’esperienza di questi anni, non solo contro.

Il Pd (o almeno le componenti più innovative) non può pensare di guidare questo processo, ma può accompagna­rlo e svolgere il ruolo di facilitato­re. Sempre meglio che condannars­i all’irrilevanz­a o, peggio ancora, all’estinzione.

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