Corriere del Mezzogiorno (Campania)
UN PATTO CIVICO PER NAPOLI
Sabato scorso dalle colonne del Corriere del Mezzogiorno, Enzo d’Errico ha elencato i punti drammatici del fallimento dei 7 anni dell’amministrazione de Magistris: mobilità, periferie, vivibilità, cura della persona. A leggere invece il racconto che il sindaco fa della città attraverso i suoi social network, a Napoli è in atto una rivoluzione. Diciamoci la verità, de Magistris dal punto di vista della comunicazione non ha nulla da invidiare a Salvini, perché è stato in grado in questi anni di costruire un frame, una cornice narrativa, che si è imposta nell’opinione pubblica e che ha ingabbiato i suoi avversari politici. Insieme alla retorica della bellezza partenopea con il sole, il mare e il Vesuvio (frame oleografico), il sindaco è stato abile a far coincidere il suo destino politico personale con quello di Napoli come nella vicenda del debito cittadino (frame della questione meridionale), fino a spingere su bislacche idee autonomiste (frame del sud ribelle e neoborbonico). In questo racconto, come è evidente, spazio per le questioni reali dei napoletani, soprattutto di quelli più colpiti dalla bassa qualità della vita, non ce n’è, o se c’è, la colpa di quello che non funziona è altrove: il governo, Renzi, le amministrazioni passate, i poteri forti. D’altronde questa chiave comunicativa di deresponsabilizzazione è ben radicata nella società meridionale. Ma il vero capolavoro di de Magistris è stato quello di incatenare le opposizioni, e soprattutto il Pd a plasmarsi, a esistere solo in funzione di controcanto del cigno, anzi proprio a cantare quella famosa canzone degli U2: «I can’t live with o without you» (non posso vivere con o senza te).
Per citare, George Lakoff, sociolinguista americano, le opposizioni e il Pd non riescono a pensare a null’altro che all’elefante, cioè alle parole ai gesti e alle iniziative di de Magistris, finendo inevitabilmente per fare da cassa di risonanza al sindaco di Napoli.
D’altronde non è un caso che in questi 7 anni il Pd non sia riuscito a costruire un’alternativa credibile, anzi alle comunali del 2016 ha toccato il punto più basso della sua storia in città. C’è stata una reazione? Un moto travolgente di cambiamento? Nulla, al di là di singole personalità, giovani e meno giovani, a cui sono anche legato da sincera amicizia, il Pd a Napoli non dà segni di risveglio oltre l’autoreferenzialità.
Lunedì il segretario Maurizio Martina è andato con la segreteria nazionale a Scampia, un’azione lodevole nel tentativo di riallacciare i rapporti con quei luoghi dove è più forte il disagio. Ma a Napoli i gruppi dirigenti del Pd sono in grado di accettare questa sfida? Di tornare a prendersi cura di quei territori di cui l’amministrazione De Magistris si è occupata solo a parole? Confesso, che ho molti dubbi a riguardo.
Eppure, che sia nel 2020 o nel 2021, questa esperienza amministrativa è ormai arrivata al capolinea, e quando questo avverrà trascinerà con sé anche chi in questi anni ha costruito la propria visibilità politica soltanto nell’antitesi con il sindaco. Perciò già da settembre sarebbe auspicabile la nascita di un patto civico per Napoli, un movimento che metta insieme le donne e gli uomini di buona volontà della città, che lavori da subito per costruire un’alternativa radicata e popolare sulle visioni strategiche del futuro, che sappia andare oltre l’esperienza di questi anni, non solo contro.
Il Pd (o almeno le componenti più innovative) non può pensare di guidare questo processo, ma può accompagnarlo e svolgere il ruolo di facilitatore. Sempre meglio che condannarsi all’irrilevanza o, peggio ancora, all’estinzione.