Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Come porre rimedio alla cittadinanza «limitata»
L’economista Paolo Sylos Labini, di fronte ad ubriacature di vario genere, che soprattutto in ambito accademico mostravano di avere dimenticato la vocazione originaria dell’economia, scrisse nel 2005 un libro magistrale dal titolo Torniamo ai classici. Era un appello perché gli economisti si occupassero dei problemi della gente. Fin dalle origini la Svimez è sempre stata fedele alla missione autentica dell’economia.
Quest’anno lo si evince nell’intento di sintetizzare l’analisi annuale con il titolo «Rapporto sull’economia e la società del Mezzogiorno».
Economia e società, dunque, tutt’uno. Eppure negli ultimi anni, ed è questa la conseguenza più grave della crisi, le due dimensioni hanno teso a divaricarsi nettamente. Non che l’economia abbia ripreso a espandersi: come ha rilevato il presidente della Svimez Adriano Giannola, se stiamo uscendo dalla crisi, siamo rientrati nella stagnazione che aveva caratterizzato per lungo tempo l’economia italiana prima del 2007. Ma questo clima di stagnazione che contraddistingue l’intero Paese si accentua nel Mezzogiorno. Sono le disuguaglianze di cui parla spesso questo giornale, seguendo la vita dei cittadini campani giorno per giorno, e che le anticipazioni Svimez permettono di ricostruire in uno scenario più complessivo. In particolare, si parla di cittadinanza «limitata» al Sud, perché i diritti sostanziali sono negati a buona parte della popolazione meridionale. Provo a sintetizzarli, precisando da subito che riporterò solo i casi più eclatanti.
In primo luogo, tra il 2010 e il 2018 è raddoppiato il numero di famiglie meridionali con tutti i componenti in cerca di occupazione. Se prima i redditi dei genitori servivano a tamponare le situazioni di disoccupazione cronica dei figli, da tempo la situazione è radicalmente cambiata in peggio. Di conseguenza, se nel 2016 le famiglie in povertà assoluta nel Sud erano 700 mila, nel 2017 sono divenute 845 mila. L’incidenza di questa tipologia di famiglie sul totale dei nuclei familiari residenti nel Mezzogiorno è passata dall’8,5% al 10,3%, il doppio di quello del Nord (5,4%). Se poi finalmente al Sud si trova lavoro, si approda nella precarietà, che non consente affatto l’uscita dalla povertà.
Di fronte a questa condizione, la reazione è l’emigrazione, la «valvola di sfogo» dei giovani meridionali: negli ultimi sedici anni hanno lasciato il Mezzogiorno 1 milione e 883 mila residenti, di cui la metà giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati. Sono risposte individuali rispetto a quello che mons. Vincenzo Paglia ha definito il «crollo del noi».
Crollo che si evidenza nei servizi: a pagare sono soprattutto le fasce deboli, bambini e anziani. Due dati: in Campania la percentuale dei bambini da 0 a 2 anni che hanno usufruito dei servizi per l’infanzia è del 2,6%, cifra che colloca la nostra regione in penultima posizione a livello nazionale, la cui media è del 12,6%. L’altro dato è relativo alle persone dai 65 anni in poi trattate in assistenza domiciliare integrata. Sempre in Campania la percentuale è dell’1,9% rispetto al 5,1% del Veneto. Insomma, ciò che manca è una rete di servizi disponibile a prendersi cura del popolo fragile del Mezzogiorno.
Certo, si deve porre riparo alla cittadinanza «limitata» con l’incremento del reddito, fondamentale e a tutt’oggi ancora un miraggio per larghi strati della popolazione meridionale.
Ma occorre fare molto di più. È impellente la costruzione di una rete di servizi collettivi, accessibili a tutti, senza discriminazioni di alcun tipo, affinché ciascuno si senta parte di una collettività dove condividere insieme ad altri la propria vulnerabilità. Solo in questo modo è possibile rinnovare il patto di cittadinanza nel Mezzogiorno e nell’intero Paese.