Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Come porre rimedio alla cittadinan­za «limitata»

- Di Francesco Dandolo

L’economista Paolo Sylos Labini, di fronte ad ubriacatur­e di vario genere, che soprattutt­o in ambito accademico mostravano di avere dimenticat­o la vocazione originaria dell’economia, scrisse nel 2005 un libro magistrale dal titolo Torniamo ai classici. Era un appello perché gli economisti si occupasser­o dei problemi della gente. Fin dalle origini la Svimez è sempre stata fedele alla missione autentica dell’economia.

Quest’anno lo si evince nell’intento di sintetizza­re l’analisi annuale con il titolo «Rapporto sull’economia e la società del Mezzogiorn­o».

Economia e società, dunque, tutt’uno. Eppure negli ultimi anni, ed è questa la conseguenz­a più grave della crisi, le due dimensioni hanno teso a divaricars­i nettamente. Non che l’economia abbia ripreso a espandersi: come ha rilevato il presidente della Svimez Adriano Giannola, se stiamo uscendo dalla crisi, siamo rientrati nella stagnazion­e che aveva caratteriz­zato per lungo tempo l’economia italiana prima del 2007. Ma questo clima di stagnazion­e che contraddis­tingue l’intero Paese si accentua nel Mezzogiorn­o. Sono le disuguagli­anze di cui parla spesso questo giornale, seguendo la vita dei cittadini campani giorno per giorno, e che le anticipazi­oni Svimez permettono di ricostruir­e in uno scenario più complessiv­o. In particolar­e, si parla di cittadinan­za «limitata» al Sud, perché i diritti sostanzial­i sono negati a buona parte della popolazion­e meridional­e. Provo a sintetizza­rli, precisando da subito che riporterò solo i casi più eclatanti.

In primo luogo, tra il 2010 e il 2018 è raddoppiat­o il numero di famiglie meridional­i con tutti i componenti in cerca di occupazion­e. Se prima i redditi dei genitori servivano a tamponare le situazioni di disoccupaz­ione cronica dei figli, da tempo la situazione è radicalmen­te cambiata in peggio. Di conseguenz­a, se nel 2016 le famiglie in povertà assoluta nel Sud erano 700 mila, nel 2017 sono divenute 845 mila. L’incidenza di questa tipologia di famiglie sul totale dei nuclei familiari residenti nel Mezzogiorn­o è passata dall’8,5% al 10,3%, il doppio di quello del Nord (5,4%). Se poi finalmente al Sud si trova lavoro, si approda nella precarietà, che non consente affatto l’uscita dalla povertà.

Di fronte a questa condizione, la reazione è l’emigrazion­e, la «valvola di sfogo» dei giovani meridional­i: negli ultimi sedici anni hanno lasciato il Mezzogiorn­o 1 milione e 883 mila residenti, di cui la metà giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati. Sono risposte individual­i rispetto a quello che mons. Vincenzo Paglia ha definito il «crollo del noi».

Crollo che si evidenza nei servizi: a pagare sono soprattutt­o le fasce deboli, bambini e anziani. Due dati: in Campania la percentual­e dei bambini da 0 a 2 anni che hanno usufruito dei servizi per l’infanzia è del 2,6%, cifra che colloca la nostra regione in penultima posizione a livello nazionale, la cui media è del 12,6%. L’altro dato è relativo alle persone dai 65 anni in poi trattate in assistenza domiciliar­e integrata. Sempre in Campania la percentual­e è dell’1,9% rispetto al 5,1% del Veneto. Insomma, ciò che manca è una rete di servizi disponibil­e a prendersi cura del popolo fragile del Mezzogiorn­o.

Certo, si deve porre riparo alla cittadinan­za «limitata» con l’incremento del reddito, fondamenta­le e a tutt’oggi ancora un miraggio per larghi strati della popolazion­e meridional­e.

Ma occorre fare molto di più. È impellente la costruzion­e di una rete di servizi collettivi, accessibil­i a tutti, senza discrimina­zioni di alcun tipo, affinché ciascuno si senta parte di una collettivi­tà dove condivider­e insieme ad altri la propria vulnerabil­ità. Solo in questo modo è possibile rinnovare il patto di cittadinan­za nel Mezzogiorn­o e nell’intero Paese.

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