Corriere del Mezzogiorno (Campania)
IL SILENZIO COMPLICE DEI 5 STELLE
La gravissima ondata di violenza razziale che attraversa il Paese in questi giorni non può più essere considerata alla stregua di un’ulteriore radicalizzazione del razzismo strutturale, colonna portante dell’intera modernità occidentale. È qualcosa di più schizoide, di più sintetico, di più ambiguo. Combatterla è un’opzione politica e culturale che nel Mezzogiorno d’Italia può fare da diga al dilagare della xenofobia inscritta nel Dna della Lega (ex Lega Nord, già Lega Lombarda), sdoganata a Sud dall’alleanza di governo con il Movimento Cinque Stelle e dal silenzio complice degli esponenti pentastellati di fronte alla sovraesposizione mediatica del ministro degli Interni Matteo Salvini, con la sua aggressiva retorica razzista. Senza dubbio la violenza razziale di cui le pagine di cronaca di questi giorni tracimano affonda le proprie radici nel colonialismo, nella schiavitù, nella segregazione. Vale a dire nel saccheggio delle risorse di interi continenti, nell’imposizione di regimi di lavoro coatto su scala planetaria, nella separazione forzata dello spazio sociale dettata, in ultima istanza, dall’incapacità del maschietto bianco medio di godere in maniera non gerarchica della globalizzazione interetnica del desiderio sessuale. Tuttavia, ciò cui assistiamo in questi giorni non è esclusivamente inscrivibile entro un particolare mito delle origini, per quanto accurata la sua ricostruzione possa risultare.
L’odio razziale di oggi è prodotto e regolato da potenti sistemi di comunicazione di massa capaci di raggiungere istantaneamente enormi quantità di individui, e incidere sulla nostra struttura dei sentimenti in modo profondo. Se esposta a determinati messaggi, specialmente quando veicolati tramite social, l’opinione pubblica può essere indotta a pensarla in un modo o nel suo esatto contrario nel giro di poche ore. Tant’è che le forze politiche, come Lega e M5S, che prima e meglio delle altre hanno investito in tecnologie della comunicazione, oggi raccolgono i frutti della propria lungimiranza così come della miopia e della goffaggine mediatica di Pd, Forza Italia, e dei loro relativi satelliti: governa chi ha più capacità di persuadere l’opinione pubblica che le decisioni prese al di fuori dall’orbita delle istituzioni rappresentative siano necessarie, e non chi intercetta i bisogni dell’elettorato per trasformarli in agenda di governo.
D’altro canto, però, affinché questo tipo di comunicazione sia efficace, è necessario che raggiunga un livello di sintesi estrema. Il che spinge la comunicazione a servirsi costantemente di costruzioni ultra-semplificate, di stereotipi funzionali alla definizione di identità culturali i cui contorni appaiono sempre più netti, seppur stringati, superficiali, e dunque dannosi. Ne è prova il fatto che, ad esempio, qualunque persona di colore che subisce un’aggressione diventa subito un «immigrato», anche quando in realtà è un cittadino italiano. Questa circostanza relega l’acquisizione delle informazioni vere e proprie a un momento successivo della lettura, perché il racconto dei fatti sopraggiunge in un secondo momento, come se si trattasse di un approfondimento: di qualcosa che, dopotutto, non è necessario; una condizione che si verifica spesso ai danni dei napoletani, per mano di certa stampa nazionale, ogniqualvolta una notizia di cronaca riguarda la città in cui vivono.
Ciononostante, però, i cittadini di Napoli non sembrano rendersi conto, come dovrebbero, dei rischi connessi all’utilizzo reiterato degli stereotipi sia positivi sia negativi, né della pericolosità sociale delle costruzioni identitarie fondate sull’appartenenza geografica, né tantomeno della demagogia tipica di tutti i leader politici, di qualsiasi colore, che fanno appello all’unicità, alla riconoscibilità, alla superiorità del proprio «popolo» rispetto a tutti gli altri, pur di dirottare lo sguardo dei cittadini in direzioni diverse da quelle nelle quali gioverebbe loro guardare: da Mussolini, a Salvini, a de Magistris.