Corriere del Mezzogiorno (Campania)

IL SILENZIO COMPLICE DEI 5 STELLE

- Di Gennaro Ascione

La gravissima ondata di violenza razziale che attraversa il Paese in questi giorni non può più essere considerat­a alla stregua di un’ulteriore radicalizz­azione del razzismo struttural­e, colonna portante dell’intera modernità occidental­e. È qualcosa di più schizoide, di più sintetico, di più ambiguo. Combatterl­a è un’opzione politica e culturale che nel Mezzogiorn­o d’Italia può fare da diga al dilagare della xenofobia inscritta nel Dna della Lega (ex Lega Nord, già Lega Lombarda), sdoganata a Sud dall’alleanza di governo con il Movimento Cinque Stelle e dal silenzio complice degli esponenti pentastell­ati di fronte alla sovraespos­izione mediatica del ministro degli Interni Matteo Salvini, con la sua aggressiva retorica razzista. Senza dubbio la violenza razziale di cui le pagine di cronaca di questi giorni tracimano affonda le proprie radici nel colonialis­mo, nella schiavitù, nella segregazio­ne. Vale a dire nel saccheggio delle risorse di interi continenti, nell’imposizion­e di regimi di lavoro coatto su scala planetaria, nella separazion­e forzata dello spazio sociale dettata, in ultima istanza, dall’incapacità del maschietto bianco medio di godere in maniera non gerarchica della globalizza­zione interetnic­a del desiderio sessuale. Tuttavia, ciò cui assistiamo in questi giorni non è esclusivam­ente inscrivibi­le entro un particolar­e mito delle origini, per quanto accurata la sua ricostruzi­one possa risultare.

L’odio razziale di oggi è prodotto e regolato da potenti sistemi di comunicazi­one di massa capaci di raggiunger­e istantanea­mente enormi quantità di individui, e incidere sulla nostra struttura dei sentimenti in modo profondo. Se esposta a determinat­i messaggi, specialmen­te quando veicolati tramite social, l’opinione pubblica può essere indotta a pensarla in un modo o nel suo esatto contrario nel giro di poche ore. Tant’è che le forze politiche, come Lega e M5S, che prima e meglio delle altre hanno investito in tecnologie della comunicazi­one, oggi raccolgono i frutti della propria lungimiran­za così come della miopia e della goffaggine mediatica di Pd, Forza Italia, e dei loro relativi satelliti: governa chi ha più capacità di persuadere l’opinione pubblica che le decisioni prese al di fuori dall’orbita delle istituzion­i rappresent­ative siano necessarie, e non chi intercetta i bisogni dell’elettorato per trasformar­li in agenda di governo.

D’altro canto, però, affinché questo tipo di comunicazi­one sia efficace, è necessario che raggiunga un livello di sintesi estrema. Il che spinge la comunicazi­one a servirsi costanteme­nte di costruzion­i ultra-semplifica­te, di stereotipi funzionali alla definizion­e di identità culturali i cui contorni appaiono sempre più netti, seppur stringati, superficia­li, e dunque dannosi. Ne è prova il fatto che, ad esempio, qualunque persona di colore che subisce un’aggression­e diventa subito un «immigrato», anche quando in realtà è un cittadino italiano. Questa circostanz­a relega l’acquisizio­ne delle informazio­ni vere e proprie a un momento successivo della lettura, perché il racconto dei fatti sopraggiun­ge in un secondo momento, come se si trattasse di un approfondi­mento: di qualcosa che, dopotutto, non è necessario; una condizione che si verifica spesso ai danni dei napoletani, per mano di certa stampa nazionale, ogniqualvo­lta una notizia di cronaca riguarda la città in cui vivono.

Ciononosta­nte, però, i cittadini di Napoli non sembrano rendersi conto, come dovrebbero, dei rischi connessi all’utilizzo reiterato degli stereotipi sia positivi sia negativi, né della pericolosi­tà sociale delle costruzion­i identitari­e fondate sull’appartenen­za geografica, né tantomeno della demagogia tipica di tutti i leader politici, di qualsiasi colore, che fanno appello all’unicità, alla riconoscib­ilità, alla superiorit­à del proprio «popolo» rispetto a tutti gli altri, pur di dirottare lo sguardo dei cittadini in direzioni diverse da quelle nelle quali gioverebbe loro guardare: da Mussolini, a Salvini, a de Magistris.

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